mercoledì 26 novembre 2008

Una vita esemplare


Dormo sul fianco sinistro e, prima di addormentarmi, faccio un elenco dei sogni da fare.
Ti stringo la mano e ti parlo più piano, così tu puoi decidere se è il caso di impegnarti in un amplesso, non devo importelo io, me l'ha detto il dottore. Io posso insistere solamente due volte a settimana ma prima dell'imbrunire, stringendoti troppo soltanto alla fine.
Al mattino sarebbe meglio svegliarsi insieme, tutti e quattro gli occhi si dovrebbero aprire nello stesso preciso momento, in modo di rassicurare il cuore, il respiro e i piedi. Mi dicono testualmente ch'è meglio così. Ma se mi sveglio da solo è consigliabile che io mi prepari un accettabile pensiero del mattino, compatibile magari con le previsioni del tempo e con una visione progressista della vita. Perchè il mio prossimo è lì, fuori della porta.
La colazione deve avvenire ottimista, in mutande, magari cantando, senza teina, senza caffeina e senza tabacco, ce l'ho scritto grande qui in cucina. Se cedo e quando, la malattia invaderà tutta la casa, rimbalzerà sulle pareti per poi ritornarmi addosso, per sporcarmi di nuovo e costringermi a rilavarmi la coscienza. Devo scrivere su un grande cartello, ha detto l'analista.
Io ancora non ho ubbidito, io ancora ci sto pensando. Sono convinto che la disubbidienza mi rende più simpatico e umano. E inoltre non devo mangiare contraffatto, di questo ne sono convinto e affaticato, solo cibi genuini e sorridenti, possibilmente molto colorati, ma dove e come? Non devo pensare esagerato. Quanto esagerato ? Non devo drammatizzare me stesso, devo individuare un limite e poi abbassarlo, schiacciarlo ancora. Tutti i giorni alla stessa identica ora, in modo da farlo diventare un esercizio.
Alle undici del mattino il momento dei desideri, sporchi e cattivi, belli e lucenti, a ruota libera e senza timore d’insozzare me stesso più del consentito, che tanto posso stare tranquillo il giudice e l’imputato sono sempre io. Come si raccomanda ogni volta il mio analista. Un paio di scarpe nuove, una camicia più bella, l'orologio, l'automobile, la casa, un nuovo e più brillante ottimismo, un pugno in faccia, un altro letto e altre natiche. Un amore assolutamente proibito, molto scabroso e assolutamente appagante. Ma nemmeno per sogno, questi desideri non c'entrano nulla con la faccia che mi ritrovo. E quali allora? Quello delle undici, caro il mio analista è sempre uno spazio vuoto, ma non mi getterò nei casi irrisolti per questo. A proposito, desiderare di cambiarsi in un lupo si può?
E' mezzogiorno, senza un soldo in tasca mi ritrovo a fare la fila per i biglietti della lotteria. La speranza fa bene. Se questa sera dovessi vincere come spenderei tutta la cifra enorme che non riesco nemmeno a pronunciare? E perchè la fortuna dovrebbe venire proprio da me? Il signore davanti a me nella fila sono sicuro che sta pensando la stessa cosa, ma di schedine se ne gioca tante, s'è messo in società con tutti quelli che lo stanno aspettando di fuori. Per non lasciarmi andare completamente nel vortice pericoloso della fortuna e la scaramanzia, adesso penso che quel signore si prenderà una coltellata da uno di loro se davvero dovesse vincere. Lo dico perché non riesco mai a fidarmi di quelli che aspettano fuori.
Guardo i numeri della schedina e mi sento prigioniero, impigliato in un destino che non da scampo. Se fossi diventato qualcuno a quest'ora non mi sarei aggrappato ad una combinazione, al calcolo delle probabilità, a sperare nell'insperabile, a dare di matto davanti a gioco a premi. La mia vita aggrappata a un grumo di numeri, che poi mi faranno sicuramente il torto oltraggioso di non uscire. Se alla fine mi ritroverò degli scompensi, loro sarà la colpa. Quei numeri, gli stessi che mi aspettano sull'orologio in un conto alla rovescia anche fosforescente che non vuole fermarsi. I numeri che tentano sempre di spingermi in un vicolo cieco, quei numeri che mi raccontano sempre o di crisi di panico o di crisi epilettiche. Quei numeri che vogliono vincere sempre loro, ma non è detto che con me ce la possono fare. E per adesso, per pura irriverenza, li metto in disordine, provo a dare fastidio al solito numero dieci, lo sfido, mi dichiaro più forte. Il mio fedele analista m’ha sempre detto che ce la posso fare.
E invece no, il dieci prende la rincorsa e sfonda all’altezza dell’ombellico. Entra dentro lacerando, spostando, rompendo e comincia a dare ordini, a cambiare le curve e la lunghezza degli intestini e a mettere fuori uso i pezzi molli che a suo giudizio non servono più. E’ inutile tentare la battaglia, il dieci da inizio alla diarrea. Sono anni che fa questo tutti i giorni, e l’unico modo che conosco per limitare il danno e lo scempio è fermarmi, stendermi, non accettare provocazioni, evitare il minimo gesto, non pensare ad un accadimento specifico, fare il morto a galla. Ed ecco che il numero dieci ordina alla diarrea di fermarsi, che s’è stufato di giocare, che lui ha fretta e non si può fermare, che infierire su di me non è più un divertimento, che semmai il divertimento è rimandato a domani. E il dieci esce fuori da me con violenza. Sono libero? Sì, ma sono in dietro, sì ma un po’ del mio respiro se né andato appresso a quel numero, il fegato ha voluto anche questa volta provare a seguirlo, e adesso è fuori, abbandonato sulle lenzuola e si sente smarrito. Tutti giorni è così, indietro, stanco, ma ancora salvo dalla micidiale aggressione della matematica.
Sono le quattro del pomeriggio, cammino per sentirmi più giovane, per accorgermi dello scorrere del sangue, per misurare la sicura capienza ed elasticità dei polmoni, per la gioiosa consapevolezza di avere ancora due gambe capaci di sorreggere il mio divenire. Cammino per attraversare il mio mondo, per avere la certezza ch’è ancora mio, che il vento c’è ancora ed ancora esiste la pioggia e può bagnarmi. Cammino e mi rendo conto, dopo il centoventesimo passo che qualcosa non va come dovrebbe andare, il fianco destro mi tira e sento l’irresistibile bisogno d’inarcare il torace all’indietro e storcere il collo, così cinque volte di seguito, poi dieci, poi venti. Non è la prima volta, non è una sorpresa, però mi imbarazzo, perché adesso le contorsioni non smettono più. Il mio analista, sempre lui, mi aveva avvisato. - Potrebbe accadere un conflitto fra il tuo corpo e l’aria pulita, fra te e gli alberi circostanti, fra il vento ed il tuo corpo contaminato da tensioni che non sapevi di avere. Cerca di andare avanti, non ti fermare, accetta il confronto e continua senza alcuna vergogna –
Eroicamente, così combinato, davanti agli occhi dell’intera natura e degli incuriositi viandanti, faccio ritorno a casa. Informerò sicuramente l’analista del mio coraggio.
E’ sera finalmente, ed arriva di nuovo il momento di rapportarmi con i corpi del mio prossimo immaginario. Certi vaghi bisogni arrivano tutti insieme un’ora prima della cena, quando te ancora non hai varcato la mia porta.
So bene che devo dare la mia disponibilità a qualsiasi voglia o fantasma che sia. So bene che sarebbe inutile resistere, o tentare di cambiare pensiero Mi lascio invadere senza pudori, senza considerare le vergogne del mio io assetato ma dolorosamente represso. Niente paura dunque, potrò dare sfogo a me stesso nel silenzio e nel segreto di un’immaginazione che ha il bisogno primario di esplodere. Da tutto posso farmi prendere e tutto posso prendere io, abbandonando temporaneamente e per fortuna la mia vita sotto dettatura e da compito in classe. Posso ora vedere le facce ed i corpi che più mi piacciono, posso cambiarli ed invertirli alla bisogna, prima del tuo arrivo, in solitudine. Ma ecco che tu decidi di anticipare, quando ancora mi trovo tutto quel marasma nell’anima e nella pancia. Mi saluti, mi sorridi, ti lavi e ti spogli, reclamando giustamente e sottovoce il momento tuo. Mi prendi di sorpresa e non mi resta che riversare tutto dentro di te inconsapevole. Ma, nel momento che succede il passaggio, l’immaginario diventa materia, diventa luridume, diventa tradimento, ti riempie. E il senso di colpa mi assale e tutta l’intera notte mi rimane.
Il tuo anticipare, l’analista non lo aveva previsto. E nemmeno che tutto ciò si potesse ripetere ad intervalli regolari nei giorni a venire.