martedì 17 giugno 2008

Ti stavo osservando


Sei lì, dritto in piedi, immobile, all’incrocio, a pochi passi dal semaforo, hai una mano affondata nella tasca, e nella tasca stringi qualcosa. Guardi la gente che passa dritta negli occhi. Ti urtano, passano veloci davanti e dietro di te, te che sembri essere di pietra, un pilastro, un’insegna, tutt’uno con la strada. Guardi il fiume di automobili che aspettano di riprendere la corsa al semaforo, senza nemmeno chiudere le palpebre degli occhi almeno una volta. Perché? Cosa avresti intenzione di fare ? Cosa stringi nella tua tasca destra? Quanto tempo ancora resisterai lì, impalato ?
Io ti passo vicino, involontariamente ti urto un gomito, dopo qualche passo mi volto indietro, non capisco perché ritorno, incrocio un tuo occhio e qualcosa di orribile vedo.
Non so se fuggire o se invece parlarti, se tentare di convincerti a rinunciare a quello che sicuramente hai in mente di fare. Riattraverso la strada, fra la gente che passa in due flussi contrari. Riprendo a osservarti a dovuta distanza.
Sei sempre immobile, i tuoi occhi sembrano seguirmi, vuoi forse un aiuto da me, desideri che sia io a convincerti. Allora ti vengo incontro ancora, mi riavvicino accompagnato dal rumore assordante dei motori e dei passi. Hai la mano affondata ancora nella tasca dei pantaloni a stringere un lampo, il sangue che potrebbe scorrere a fiumi davanti a questo semaforo. Ti parlo adesso.
- Scusami, sai dirmi, mi sono perduto, che posto è questo? –
Non mi rispondi, mi guardi con occhi inanimati. Mi vuoi senz’altro dire che non potrò fermarti, perché oramai hai deciso, perché oramai uno schifoso destino ha deciso per te.
Ed io non posso permettere che l’orrendo destino si compia, io che sto semplicemente tornando verso casa. Insisto allora, addirittura sorrido.
- Aspetti qualcuno? Ma come fai a vedere in mezzo a questa folla? Lo so, aspettare non è affatto comodo, mette a disagio, innervosisce –
Ma tu non vuoi muovere un muscolo, non ti sento il respiro, sei di gesso e sei messo lì chissà da quanto. Perché avrai deciso così, quale guaio tremendo? Quale irreparabile rancore? Ti vengo sotto con un altro sorriso e con una sicurezza agghiacciante in aggiunta.
- Siccome è da tanto che aspetti, ti offendi se uno sconosciuto ti offre un caffè? Così parliamo dei fatti nostri magari, anch’io ce n’ho da dire perché questa vita non è affatto semplice –
Succederà magari fra un attimo, la tua mano uscirà dalla tasca e tutta la strada urlerà di dolore.
- Ce l’hai una famiglia? Magari lei se n’è andata? Insomma non ti vuole più ?Guarda che col silenzio mica risolvi niente –
Il semaforo pedonale cambia di colore e un’altra carovana di gambe e di pance ci arriva addosso, ci sposta, mi allontana da te che barcolli, ma ti rimetti fermo. Per un attimo ti perdo, non ti vedo, mi sporgo per cercarti fra le teste e i cappelli. Eccoti spostato di un solo metro. Ci riprovo.
- Allora scusami, facciamo due passi, camminiamo un po’insieme così ci aiutiamo a riflettere, così può darsi che desisti da quello che vuoi fare. Ne troverai un’altra questo è sicuro, ti rifarai una vita, questo è certo –
Ci penso meglio e ti dico di più.
- Oppure è il lavoro che hai perso? -
I tuoi occhi adesso frugano in una fila di suore che sta attraversando la strada, la tua mano nella tasca si muove, cosa farà l’intero tuo braccio?
- Ecco, guarda loro, loro in fondo se la cavano meglio-
Resti fermo, infilato nel marciapiede, muto.
.- Senti, stai forse pensando di esplodere? Guarda che le suore non c’entrano, e gli altri passanti sono tutti inoffensivi. Il tuo rancore è proprio irreparabile? Facciamo allora insieme colazione. Sei muto?–
Non mi accorgo che ti parlo convulso, convinto come sono che è arrivato il momento. Non mi accorgo che mi sono aggrappato al tuo braccio. Non mi accorgo che mi ascoltano e si fermano dietro di me.
- Per favore non farlo, non ne vale la pena, fai un respiro profondo e rinuncia, siamo fratelli tuoi, non lo fare –
Un cane sbuca dall’angolo e ti ringhia. Due donne ti guardano minacciose, un pachiderma si fa strada fra la gente che ormai ci circonda.
- Vorresti ammazzarci tutti? Vorresti che adesso ti diamo la benedizione ? Dacci quella pistola ch’è meglio –
Il cane ti addenta una gamba, mi spingono via e tu scompari sotto il loro furore. La tua mano giustiziata non ha voluto lasciare un corno porta fortuna che ti tenevi in tasca. Un corno di corallo rosso sangue.

mercoledì 4 giugno 2008

Corpo a corpo


Sono ventiquattr’ore che ti aspetto. Ho cercato di domare il disordine, ho straordinariamente cambiato le lenzuola, le ho scelte nere, funeree, come piacciono a te. Ho riempito il cesto con la biancheria sporca, che di solito corre libera e felice per casa. Ho acquistato due candele, su tuo suggerimento e le ho messe in camera da letto, una dalla parte mia, altra vicino a te. Ho acceso tutti quanti i termosifoni, il camino e la temutissima stufa a gas, così, nuda, non potrai lamentarti del freddo. Ho anche appeso, fuori dell’uscio di casa, un messaggio di benvenuto. Ho fatto tutto questo sperando in una appassionante nottata.
Non torni, ancora devo aspettare, accendo la musica, anzi ne metto altra a portata di mano, la preparo su misura per te. Il tempo ti oltrepassa, ed io mi infilo dentro a letto a immaginare, a studiarmi le posizioni e le tenerezze.
Tiro in dentro la pancia, considero la mia età, mi passo una mano sulla barba per capire se punge, provo se i muscoli ci sono ancora. Mi rialzo perché mi accorgo di non avere l’esatto odore che piace a te. Meglio una doccia ennesima, meglio purificarmi l’alito ancora di più, meglio tagliarsi le unghie se il desiderio ti dovesse suggerire varianti inconsuete.
Accendo il televisore, ma mi porta velocemente al torpore, la porta si apre finalmente ch’è già arrivata la notte. Eccoti qua, sei stanca, e come temevo nervosa, non vuoi parlare, non vuoi mangiare, hai insieme mal di testa e mal di schiena, un minaccioso progetto di dolore al braccio, e un mal di pancia di riserva.
Anche stanotte il mio progetto appassionato lo devo rimandare?
Adesso mi dici di volerti spogliare, ma prima mi srotoli i fatti e le tragedie, tutti quanti gli aneddoti della giornata finalmente passata, nomi, cognomi, fatti e misfatti. Parli e racconti guardando la porta, il pavimento e la crepa sul muro, il lampadario. Io, di nascosto, mi odoro le ascelle, mi è sembrato di sentire ancora l’odore del minestrone.
Probabilmente il momento è arrivato, ti siedi sul bordo del letto e ti spogli, fai così per offrire ai miei occhi solamente la schiena, la tua schiena capace di farmi sognare per giorni. Ti avrò.
Ma ti infili il pigiama, entri nel letto e ti abbracci le ginocchia. Così come farò ad averti?
Decido di allungare comunque una mano e la tua schiena risponde che anche questa sera il dolore ci sta, risponde prontamente e ad alta voce. Ti giri a pancia all’aria e mi rimproveri del caldo esagerato e troppo secco. Mi alzo per raffreddare, mi sbrigo, il desiderio mi rigetta nel letto, e un’altra carezza, quasi per caso, calcolando e pregustandone le conseguenze. Hai una smorfia di orrore, le mie mani sono troppo fredde, ed anche i piedi. Perché mai sono uscito dal letto?.
Mi scuso, dichiarando preventivamente che davvero ti amo. Ti fai uscire allora, in concomitanza, un secondo lamento, prolungato, ben modulato, tragico quanto basta. Ma io insisto e propongo, ti chiedo con esattezza di fare l’amore.
Mentre mi espongo così ed ascolto che tu non hai per nulla risposto, sono però sicuro che al bagno ci devo riandare, solo per una questione emotiva, solo per prevenire un bisogno. Il gas va richiuso di nuovo e la porta di casa vuole un altro controllo.. Ecco che torno e ti sento russare.
- Come, già dormi ? –
- Ma no, pensavo –
- A cosa? –
- Nulla di nulla –
Cerchi di riacchiappare uno sbadiglio ma non ci riesci, ed io sono più che deciso a non farmi scoraggiare.
Ti ridico che ti amo tre volte di seguito e tu mi ricordi che non ho messo la sveglia. A ricordarmi che l’operazione più urgente e necessaria è quella di dormire. Quando ho finito di parlare con i numeri e i minuti tu giaci sfinita, immobile e girata dalla parte opposta, all’improvviso mi chiedi e capita così che mi riaccendi.
- Mi massaggi la schiena? –
Ecco l’invito, ecco l’occasione, ecco tutto il mio amore, ecco l’incontro emozionante, il desiderio risorto.
- Più giù, dove c’è la ferita –
Io ubbidisco, ma poi mi lascio trasportare, esulo dal mio compito, sconfino, il respiro mi tradisce e cambia, ti bacio un orecchio.
-
- Il solletico no ! –
Ti contorci e ti richiudi, mi chiedi l’ora e questo non è un bel segno, è il segno che mi devo affrettare, le mie mani scorrono in giù e commettono il solito e imperdonabile errore.
- Lo sai che non mi piace così ! Lo sai che m’imbarazzo così ! Lo sai che subito così non mi piace! –
Ricomincio dal seno? Dal seno sembra che funzioni. Ti esclamo due volte e lo accetti, allora con una manovra furba e decisa ti sono sopra. Ma tu urli, che t’ho schiacciato un braccio, il braccio solito.
- Ti ostini a pesarmi a sinistra, perché te la prendi sempre con questo povero braccio mio? Sono sei anni che lo fai, sembra che lo fai apposta –
Insomma allora e mi levo e mi viene quasi da piangere, so bene che la mia solita manovra maldestra potrebbe evolversi in un processo nel cuore della notte, d'altronde è vero, sono sei anni che mi diffidi. Ti ho sempre promesso che prima o poi avrei cambiato posizione, ma la pigrizia, ma la cattiva abitudine, ma le strane esigenze del mio basso ventre.
Però ho un buon repertorio di argomenti rassicuranti da esibire, quelli che nella maggior parte dei casi funzionano sempre. E’ notte inoltrata ed io provo ad appoggiare le mie labbra sulle tue. La tua lingua però non vuole sentire, si rifiuta di uscire allo scoperto.

- Lo sai che è sempre stato così, non mi piace baciare così, lo trovo imbarazzante. Ma tu non hai fatto uscire il cane ?-
E’ vero, mi rialzo col freddo che mi stringe il sedere e spingo in fretta il cane furibondo fuori della porta.
Quando torno a letto sei immobile, sembri assolutamente deceduta, non mi resta che dormire, oppure abbandonarmi al solito desiderio impersonale, senza uno specifico volto. Assopito in questa indecisione, le palpebre mi suggeriscono di tentare la sorte nel sogno.
Ed è allora che mi accorgo di un dito su di me, leggero oltre che furtivo. Abile ed esperto, all’altezza del mio ombelico. Ci gira intorno, passeggia, si ferma a pensare, poi si rimette a danzare, leggero, inesorabile. Adesso cambia la sua traiettoria, punta verso il centro, affonda e sfonda, probabilmente tira via, svuota. Io mi dimeno, tento di impedirlo, ma mi ritrovo con le budella di fuori, ma ancora vivo, ma ancora cosciente.
Ti vedo sorridere e sussurrare nel centro del buio.
- Hai visto, sei contento, ti è piaciuto? Adesso fammi dormire però che è tardi -