mercoledì 6 febbraio 2008

dentro


Finalmente decido di farmi guardare dentro una protuberanza in più che mi ha sempre pesato, che è sempre stata sopra la mia testa. Una mattina il barometro e l’amara constatazione dell’esaurimento del caffè nel suo apposito contenitore, mi suggeriscono di vederci finalmente chiaro sul perché del mio inseparabile ed antiestetico bozzo.
Si tratta di una risposta difficile, articolata e complessa, capace di scatenare degli strascichi che non possono essere sottovalutati. Ascolto il dottore che quasi non può predersi sul serio.
- Giacciono rinchiusi e ben protetti sulla sommità della sua testa, un ciuffo di capelli, due denti e la falange di un mignolo che non le appartiene –
Per essere più orribilmente precisi, apparterrebbero a un mio fratello gemello. Quelli racchiusi dentro di me sarebbero quindi i suoi miseri resti, del resto perfettamente conservati..
Guardo sbigottito il dottore, nemmeno respirando
- E’ difficile dire il perché, ma se lo è mangiato lei -
- Per caso l’ho ucciso, l’ho giustiziato? Sono allora in definitiva un cannibale? –
L’esibizione del dottore perde di forza e affonda. Si toglie gli occhiali, si rimette gli occhiali, prende in mano una penna, riposa sul tavolo una penna. Tenta di costruire un sorriso, rinuncia al sorriso.
- Lei adesso come adesso ha bisogno di una terapia d’appoggio e un momento di riflessione per metabolizzare nel modo più corretto l’accaduto, per fare mente locale sul prossimo da farsi –
Dopo uno sbigottito sonno, ad occhi spalancati, senza nessun sogno declinato per intero e degnamente raccontabile, la mattina lancio per aria la tazza del mio irrinunciabile cappuccino. Lo faccio e non ne capisco il perché.
- Che cosa orrenda ho fatto, che cosa disgustosa, ma poi perché mai ?! -
Poi mi capita di alzare lo sguardo allo specchio del bagno, che si trova lì in agguato, che probabilmente sono anni che aspettava questo momento. Non avrei dovuto farlo, proprio no davvero. Mostra me stesso con i denti scoperti ed i capelli di un altro colore, mi vuole fare vedere in faccia il sangue del mio sangue che ho giustiziato e masticato nel caldo liquido della pancia di mia madre. Lo specchio va in frantumi,
- Mi puoi sentire? Puoi perdonarmi? Devi. Un motivo? …Perché, che bisogno c’avevo anche di mangiarti?-
E mentre le schegge si spargono fragorosamente sul lavandino e intorno, mi arriva nella testa un rumore, la bozza di una voce terribile, cupa e lenta. Gesù ma che film è mai questo, Di chi è questo orrore. Comunque mai più davanti ad uno specchio.
- Sei tu? E’ questa la tua voce? Ma perché mi spaventi ? Così è andata oramai -
Sventrato lo specchio, scopro che non voglio mai più stare solo. In compagnia forse non oserà sgridarmi, non mi metterà le mai al collo, dovrà per forza rinunciare. Ma non trovo nessuno disposto a diventare spettatore e complice di un crimine così orrendo, di uno che urla all’improvviso nel mezzo della strada. Lo faccio annusando nell’aria, senza saperne il perché. Urlo, insulto e sputo. Bestemmio. Ascolto me stesso impotente senza potermi scusare o spiegare. Cosa penserà di me il viandante poco me ne importa. Sembro caricato con la molla, sembro uno scherzo di carnevale, la punizione di un gioco imbecille.
E’ lui che muove i miei fili, è lui che sghignazza dentro il mio lobo centrale destro. Ed io non lo posso fermare.
- Buon giorno vicino –
Mi apro i pantaloni, li tiro giù e gli mostro il sedere nudo e crudo, poi cammino all’indietro per andarmene.
Sono anche convinto che all’improvviso trovo mio fratello dietro la porta della cucina, con me in Ascensore che mi guarda torvo, che mi vorrebbe mollare un ceffone, o che mi prende per un orecchio e me lo storce in mezzo alla calca del trenta sbarrato.
- Eri d’accordo con lei, è nostra madre che t’ha detto di farlo ?-
Quella voce profonda, quel terremoto che ho udito nella pancia poco prima di uccidere, era ovviamente la voce della mia tenera mamma
- Non ho mica i soldi per mantenervi in due, mangialo ora –

Ecco, forse è così, è lei l’istigatrice, il mostro, la mia tenera mamma
- Io sono soltanto un esecutore inconsapevole, e affamato. Allora siamo intesi, prenditela con lei -
Insomma, io ho paura di avere paura che quella spiegazione non gli basti, vuole sapere del pranzo, del pasto crudele…del perché degli avanzi. Forse perché ero sazio?
- Infierire no, mai, e poi su mio fratello ! Guarda ti prego, non me ne faccio una ragione. Sono pentito, sono esterrefatto, sono quasi impazzito, continuo continuamente a pentirmi. Adesso è tutto chiaro? -
No signore, io per strada non esco, capita che mi dimentico chi sono e dove devo tornare, perché le mie stranezze non si fermano più, perché ho paura di riconoscerlo nella faccia della farmacista o del fruttivendolo, dell’idraulico o del garzone del lattaio. Può apparirmi dietro ogni angolo, qualsiasi spigolo, portone, finestra, voragine nella strada, camino, cassetto, fessura nel muro. Potrebbe cadermi dal cielo giù, addosso.
Ma nemmeno dormire, perché poi nel sogno non mi saprei difendere, e perché avrebbe la sua vendetta troppo facile.
Allora armato di un coltello da cucina lo attendo, ed ecco che squilla il telefono, vado …ed è lui a mettermi la cornetta nelle mani, lui che mi guarda dritto con la sua faccia masticata da me, senza più un occhio e con le budella che gli pendono di fuori
- Ciao, come stai? Non rispondi al telefono ? Che fai, te la fai addosso? Adesso tocca a me –
Il coltello me lo tiro su un piede. Si è preso la mia voce e ci nuota dentro, sorride, allunga una mano per acchiappare la mia identità, per strapparmela via, io scappo ed inspiegabilmente mi metto a ballare, giro su me stesso, saltello, non sono più io. E giù per le scale e in strada a spintoni e calci.
- Oddio signora mi scusi, mi creda, veramente non volevo sodomizzarla, è mio fratello gemello che mi spinge a fare certe cose. Mio fratello che se m’arrestano non gli importa–
- Ho fatto veramente la cacca dentro la fontana? Mi spiace –
Entro nella banca in mutande, in mutande vengo scaraventato nella sala da tè.
Immergo la testa nel water, anzi è senza dubbio lui che mi costringe, che spera di farmi esalare l’ultimo respiro. E’ così che schivo solo per un miracolo una macchina in corsa.
Apro gli occhi e guardo in giù, sono sul cornicione del settimo piano.
- La mamma l’ho fatta saltare, e te non vuoi andare? –
E’ soltanto uno scherzo cattivo, ondeggio sul primo scalino di un orologiaio e a lui mi metto a raccontare il mio orrendo crimine, gli canto la mia storia.
- Un ciuffo di capelli, due denti ed un dito –
- Dove abita? Chi è lei, come si chiama? –
Gli rispondo in una lingua sconosciuta, salto, rutto, e scompaio nel mio tragicomico enigma. In balia della vendetta dispettosa.
Riesco a fuggire dal gas della cucina aperto e ad una ben più precisa revolverata. Decisamente decido chiuso in un armadio in tre soli minuti di lucida apprensione, di farmi togliere via i poveri resti di mio fratello con l’aiuto del bisturi.
Devo contare fino a dieci perché l’anestesia faccia effetto, in fretta devo fare, che lui è lì che mi guarda, in piedi.
Adesso basta, adesso per la seconda volta ti mando al creatore.
- E’ tutto finito, si svegli, si ricorda per caso il suo nome?–
Apro gli occhi addosso alla grande luce sopra di me e dico quel nome, il nome assegnato al mio fratello gemello.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Ciao Costantino,
spesso nelle tue cose vi sono due penne, due inchiostri a narrarti.
Due anime gemelle e avverse.
Dimmi solo come ti si deve chiamare :)
Lo specchio lo sa, a quanto pare.
C'è sempre molta crudeltà, a suo modo, fra le tue righe.
Un'analisi senza mai compiacimenti. Ma è bello in ogni caso.


un abbraccio
buonagiornata

Alki

costantino liquori ha detto...

Be, non solo due, ma molte penne, tante quante le nostre personalità :)