martedì 4 marzo 2008

Sono tornato


E’ il mio compleanno. Sono tornato nella mia bella casa di pietra ereditata dai nonni materni, sono tornato dal mio grande leccio secolare che forma una gigantesca cupola d’ombra davanti alla casa. L’albero che racchiude, nascosti dentro il suo torace molti segreti della mia giovinezza,. i ricordi pulsanti e bagnati dei miei primi innamoramenti. Dentro di lui riposano le pagine che ho scritto e le risposte che non ho più potuto rileggere, perché la guardia forestale, una mattina d’inverno è venuta a mettere il cemento di rincalzo per rinforzare il gigante esausto e malconcio, e ha seppellito per sempre una parte di me, un grande pezzo del mio cuore.
Seduto davanti alla porta, guardo davanti al sole quello che ero, una carriola ormai deformata, la vecchia ruota di un carro, gli alberi, le pietre, l’erba, il bosco che comincia a pochi metri davanti a me, e i cespugli che scandiscono i miei anni. Ascolto il verso degli animali, dispiaciuto perché non riesco più a riconoscerli ed il rumore, quel magico rumore del treno che passa sulla ferrovia più in basso, quel rumore che mi ha fatto compagnia nel buio della mia camera nella casa dei miei nonni, a un chilometro di distanza da qui. Sono venuto per parlare con quello che resta di me, con le mie pensieri annebbiati e i miei batticuore, oramai poco distinguibili, ma ancora presenti.Sono andato via dopo la morte dei miei nonni, deciso ed entusiasta di affrontare la vita di città, a gettarmi in un frenetico mucchio, tutto preso da un’accelerazione soltanto immaginata. E adesso sono qui, il giorno del mio compleanno, messo in fuga dalla consapevolezza di essere troppo debole e troppo ingenuo per la vita cittadina e di avere ancora una volta bisogno del mio padre albero. Sono tornato per raccontare a queste pietre e al silenzio di questo verde tutte quante le mie stanchezze, a scusarmi perché non ho capito che da qui non mi sarei mai dovuto muovere. Annuso l’aria per cercare il latrato dei cani, per riempirmi la faccia del profumo della legna che arde nel grande camino, del profumo di lavanda e della minestra che cuoce lenta e saporita. Per catturare, fra le labbra e la fronte quest’aria così troppo limpida e crudelmente sincera. Sono tornato perché è il mio compleanno.
Salgo ancora sulla groppa del grande leccio, come facevo tutti i pomeriggi di tanti anni fa, la salita è comoda e non pericolosa, i rami sono talmente grandi che non c’è bisogno di appoggiarsi. Accanto alle sue immense radici devono essere ancora seppelliti gli oggetti che rubavo a casa dei miei nonni per rappresaglia, dopo ogni sgridata. Statuette, bicchieri, vasi, piatti, fotografie. Trovo ancora il grande buco, tappato dal cemento, nel quale nascondevo i miei grandi sogni, le lettere a Marisa, la figlia del maresciallo del paese e le sue risposte enigmatiche. Le dichiarazioni d’amore a Maria Pia, l’amica di mia sorella più grande. L’amore, quello strano ed inquietante amore per la mia sorella adorata. Nel buco anche i miei progetti futuri, precisi e chiari in tutti i dettagli, la mia vita come volevo che fosse.Volevo andare in città per fare il dottore. Lì nascosto giace tutto il vino, che venivo a bere, per cancellare le insicurezze e gli appuntamenti mancati, steso su un ramo ogni volta più alto a cantare le mie stonate filastrocche sotto voce.
Nel grande buco, tappato con il cemento, c’è però rimasta una piccola apertura, che si allarga con facilità, ci ficco un dito, poi due, poi tre e sono a due passi dal mio tesoro nascosto. Dentro sento vibrare qualcosa, sono zampe, sono ali, sono centinaia, una nuvola di Ammazzasomari, così si chiamano i calabroni gialli e neri, dei veri e propri combattenti. Escono velocemente dal piccolo foro e si vengono a posare, sopra la testa, sulle braccia, sul torace. Sono immobilizzato dalla paura, ma loro danzano avanti e indietro sulla faccia, s’infilano nella camicia, la loro è una danza gioiosa, è un benvenuto. Mi assicurano che hanno fatto buona guardia alla mia memoria. Ora che mi hanno ritrovato loro si occuperanno di me. Mi entrano in bocca, riescono, mi frugano ovunque e più non se ne andranno.

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