venerdì 20 marzo 2009

Nodi

Ogni tanto decidi di punirmi per colpe misteriose che non riesco a decifrare. Ti siedi davanti a me, davanti alla finestra, quando il sole è diretto e ci colpisce ambedue in pieno e ti esibisci in un meticoloso lavoro all’uncinetto. Ogni tanto alzi gli occhi verso di me. Quell’uncino che annoda e unisce veloce e sicuro mi fa male, quasi mi strozza osservarlo. Allora mi alzo, ma l’effetto nefasto continua, la gola si chiude, mi lacrimano gli occhi, i pensieri si spezzano.
Vorrei dirti di smettere, ma non riesco a parlare. Interrompi il tuo lavoro solamente quando mi senti tossire prima e poi vomitare nel gabinetto. Se e quando mi azzardo a chiederti spiegazioni circa questa curiosa concomitanza, mi guardi come se fossi uno svitato, uno in cerca di rogne e pretesti. Non rispondi, oppure guardi il tuo lavoro ad uncinetto riposto momentaneamente in un cestino.
Alcune volte ho pensato, fantasticando, che la responsabilità potesse non essere tua e di quell’uncino, ma invece del lago, al quale non riesco ad adattarmi.
Però una sera sei uscita da casa e, nonostante fossimo in inverno, ti ho vista attraversare la strada, parlare a lungo con un pescatore, la cui barca è sempre ferma qui davanti, dopo di chè ti sei immersa. E sei ricomparsa all’alba. Sono quasi sicuro di quello che dico, hai aperto la porta di casa fradicia, con i resti di un’alga scura fra i capelli. Ho tentato di chiedere invano.
Adesso sono seduto su una panchina in faccia al lago, guardo la sua acqua lucida e ferma e un nodo alla gola che riconoscere non so mi opprima. Tutto mi passa davanti e tutto mi scorre dietro ed io resto attonito, unito al legno malfermo della panchina.
I gabbiani schiamazzano nel tentativo dispettoso di svegliarmi dall’insolito sopore. Un albero di tiglio sta pensando il modo migliore per togliermi dall’incantesimo Da quanto tempo? Da giorni.
Passa una bicicletta a brucia pelo da un mio piede, che non si muove, che non reagisce, un cane si ferma e mi annusa, vuole cacarmi addosso e così sia, io non resto fermo, come legato, e nemmeno lo guardo. Lui si aggiusta sicuro e la fa. Dove sei tu?
Accanto a me un pensiero vomitato sulla panchina si sta ormai seccando, è lì abbandonato, inservibile, muto, dello stesso colore e consistenza di un verme. Un secondo pensiero sta colando dal lato sinistro della bocca, è un avanzo di vita, una digressione personale ormai inservibile, materiale di scarto. Il nodo alla gola scende fra le mie mani e si materializza in un mozzicone di corda. E’ un nodo a otto, adesso si presenta così.
Mi stai forse guardando dalla finestra? Potrei forse chiederti scusa, di cosa non so. E vedere se poi starò meglio.
L’acqua del lago decide di cambiare il suo colore, riflette su di me la mia incertezza. Il nodo ha voglia di giocare, è privo di spina dorsale, è scaltro quanto basta. E’ un nodo da “Ormeggio” che le mie mani, a dispetto di me, si divertono a fare, anche se non guardo lo so. Mentre due bambini mi scaraventano il pallone addosso ad un orecchio, le mani sciolgono e si esibiscono ancora in un nodo a bandiera, che ancora si trasforma, da solo, senza l’intervento delle mie dita, e seguendo gli umori di una nuvola nera, nel nodo da “Berretto turco” e in quello “Parlato”. Allora sono io il mele di me stesso. Continuo a guardare l’acqua e non mi accorgo che mi sono alzato dalla panchina, che quel mozzicone di corda annodata adesso nel nodo “Costrittore”, mi trascina verso il lago a pochi passi distante da me.
E arriva finalmente lei, portando con se le varianti e una troppo breve descrizione di una teoria generale. Prova, rilancia. Ma decisamente è in ritardo.
- Eccomi qua, sono arrivata in tempo? –
Il tiro alla fune vuole fare, vuole tirarmi in dietro, vuole riaprire il discorso, offrirmi la salvezza di una nuova equazione. Ma il nodo da pescatore e il cappio hanno stretto il mio collo e mi trascinano giù, non intendono ascoltare altre ragioni. Vogliono evitare inutili ripensamenti, e il fondo del lago è parecchio che m’aspetta e mi chiama, ha quasi perso sia la pazienza che la speranza. E’ ormai stanco di mettere in piedi tutto quel teatro di colori e stagioni. Adesso è fatta ed io sono giù.
Il pescatore e la sua barca mi osservano senza fiatare.
- Va bene, se la metti così ho altro da fare, ciao -

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