venerdì 19 ottobre 2007

Una stanza all'ultimo piano


Una stanza all’ultimo piano, proprio sopra di me, di me che passo il mio tempo in ascolto. In quella stanza una figura perennemente di spalle. Un paesaggio marino, un quadro nella penombra, stufo della propria immobilità. Due mani che fanno paura.
Due mani di rughe, di noce e di gesso. Due mani di iguana, inseparabili, con la memoria del caimano. Due tenaglie di mani, invincibili. Tenebre di mani ad uso di artigli.
La figura di spalle ha il volto di pietra pomice. La consistenza dell’escremento secco.
Mani sulla maniglia della finestra, in agguato, con lo sguardo fisso al tramonto. Il tramonto che ha paura di loro, che aspetta tremando uno scatto. Un urlo, uno schizzo scuro.
La figura di spalle ha la gola scavata dal picchio. Sta lì, nell’angolo, di spalle al quadro.
Adesso le mani galleggiano al di sopra del termosifone, navigano lentamente e si fermano davanti al quadro, colmo di rabbia impotente. Atterrano senza peso sul mobile, il mobile che cerca di tirarsi indietro, che trema dallo spavento.
Sembra che il vero obbiettivo delle mani sia lo specchio, invece si fermano al centro della stanza penzoloni.
Mani da redivivo, resti d’etrusco, espressione dell’impiccato.
Poi un segnale invisibile fra il quadro e loro. Avanzano nuovamente in un volo di mosca, fino al lieve contatto con la scrivania, che ha un brivido, che non vuole rendersi conto.
E il quadro, il paesaggio marino, digrigna i denti e attende. Guarda la figura di spalle che ha il ginocchio vuoto, nero e vuoto il ventre, di cartapesta il gomito e le scapole.
Le mani assomigliano a quelle dell’assassino, due mani d’aragosta, due atteggiamenti da mantide religiosa.
La figura di spalle di voltarsi capace non è. Le mani sono alghe, nate dal quadro suggeritore. Ora invece si posano sulla mela verde. Forse che la vogliono strangolare? La fanno assopire e passano oltre.
Mani alla ricerca. Coleotteri.
Rettili mani che strusciano il freddo della spalliera, seguono sicure il suo legno, raccolgono determinazione, si preparano alla degustazione.
L’una sull’altra pare che s’arrendano. Strategia.
Nell’angolo la figura di spalle ha le caviglie saldate fra loro, ha una sola buccia di polso. E’ impaziente il paesaggio marino. I pescatori aspettano di uscire dalle case, le barche vogliono prendere il largo.
Le mani manovrano intorno, trascinate da una leggera brezza omicida, che però non ha un’eccessiva fretta, che intende prendersela comoda.
Le mani si dirigono verso la finestra silenziose. Trascinano con loro una tazza, di profilo assorbono il giallo che galleggia di fuori. Alzano la tazza, la riabbassano, ripetono il movimento, trattasi di un rituale funereo. Una sfida alla città che sorveglia, una beffa ai tetti che le temono, un avvertimento ai volatili che potrebbero gridare l’allarme.
La figura di spalle è sempre nel suo sempre, nel suo involucro muto, nel suo solito e scontato gioco di ombre.
La mascella ebete, gli occhi vuoti rivolti verso il muro, lo stesso odore di cento anni fa. Corteccia vuota in bilico su se stessa.
Mani senza sudore, mani enormemente, mani sacerdotali, mani una volta per tutte. Mani del giurato. Mani del boia.
Dentro il cassetto mani chiuse sul ferro numero tre a tessere l’intreccio della bava.
Un dritto ed un rovescio, la resa dei conti. Il maglione si stringe sulla figura di spalle, le toglie ogni possibilità di eventuali cambi scena.
Il punto a croce, il collo a barca, la treccia, lo strangolamento. Pezzi di corteccia sul pavimento, finestra aperta e mani spalancate. Nel totale silenzio.
Il paesaggio marino si emoziona, il colore gli si anima dentro, la prigionia dell’immobilità è finita.
I pescatori escono di casa e si avviano alle barche, le barche che ora sembrano addirittura respirare, ed una dopo l’altra si avviano alla pesca.
Mani che danzano, mani padrone.