venerdì 13 gennaio 2012

La guerra in mostra

Il Natale è passato da un giorno, sono le due del pomeriggio, fa freddo, pungente e sano, c’è uno splendido sole, tutto appare lucente e lucido, l’acqua del fiume per la prima volta splende, rilancia negli occhi la luce di un giorno speciale, i palazzi lungo la strada che percorriamo sono ornati a festa. Sereno appare l’umore della gente che passeggia lenta e senza pensieri. Il Natale è così, è una tregua necessaria negli occhi di tutti. In giro ci sono poche macchine, poche macchine che rotolano discrete, facendo attenzione a non disturbare la festa. Camminiamo io e te senza una meta precisa, guardandoci intorno con meraviglia, come se fosse la prima volta, in questa nostra città, bella e finalmente tutta per noi, sorridente, accogliente, una madre perfetta e premurosa. Il suo volto spietato è scomparso, sembra lontano, la fatica di vivere non si vede oggi, la povertà, la crudeltà, la malattia, la fatica, l’angoscia restano nascoste, almeno fino all’esaurirsi delle vacanze di questo magnifico Natale. Oggi è la giornata della comprensione e della fratellanza e  così camminiamo sorridenti e leggeri. Guardiamo un uomo steso in terra, sul marciapiede, tiriamo dritto quasi scavalcandolo. Non vogliamo pensieri tristi oggi.
Lungo la strada, due semafori più in là si vede l’Ara Pacis, il monumento della Roma imperiale sopravvissuto egregiamente alla storia, agli orrori delle invasioni e alle bombe piovute sulla nostra città, l’altare dove gli imperatori celebravano le loro vittorie. Adesso è un museo, con la sua moderna fontana davanti e importanti scalinate di marmo splendente che guidano i visitatori fino all’entrata. Arriviamo. In molti sono seduti fuori, alcuni stesi e stanchi, altri immobili sotto il sole, alcuni con la testa fra le mani. Entriamo, un manifesto ci invita a visitare una mostra fotografica contro la guerra, in questa giornata potrebbe essere la scelta migliore. Attraversiamo l’ingresso di marmo bianco e vetro, chiediamo all’impiegata il prezzo dei biglietti, senza nemmeno guardarci e dandoci le spalle, ci fa segno che possiamo passare, nemmeno una parola.
Entriamo nel merito, già straniti, offesi da quell’atteggiamento che non ha nulla di natalizio, anche se la mostra è gratuita. Che diamine, un po’ di gentilezza non guasta ! Passiamo accanto all’altare romano ornato di fregi pretenziosi, troppo bianchi, troppo lucidi, tanto da apparire come una grande caramella oppure una torta nuziale. Davanti all’altare un sorvegliante che sembra che si regga in piedi per miracolo, ha la faccia risucchiata all’interno, la pelle, sporca e scura, appiccicata al cranio, e, invece della giacca, ha una casacca consumata, troppo vissuta, uno straccio d’altri tempi sembra. Più avanti, su una panchina di marmo è stesa scomoda una donna. E’ immobile. Non vediamo la sua faccia perché la nasconde con le mani. Sarà affranta, la mostra ha avuto il suo effetto, oppure le fanno male i piedi ? E adesso scendiamo nei sotterranei, la mostra fotografica è lì, lì da dove proviene un odore insopportabile.
Antonella vorrebbe andarsene via, è un’igienista, è una precisa. E soprattutto è allergica a quel fetore che sembra di morto. Nei sotterranei ci sono due grandi ambienti, le fotografie, una infila all’altra. In testa, all’inizio, su un grande schermo, nella penombra, immagini di guerra, esplosioni, fucilazioni, sono perfidamente mischiate a pubblicità di pannolini per bambino, creme per il viso, dentifrici al sapore di menta, crociere esotiche, assorbenti. Un contrasto efficace, nauseabondo, messo apposta per colpire i sensibili nel vivo.
I visitatori accanto a noi guardano scandalizzati, qualcuno mugugna qualcosa che potrebbe assomigliare vagamente ad un insulto, altri scuotono la testa, una donna si soffia fragorosamente i naso, già piange prima di cominciare. A poca distanza dallo schermo la sedia del sorvegliante è occupata da un uomo con addosso una mimetica militare. Curioso, dovrebbe avere la solita giacca da sorvegliante, tristemente compassata e blu ! l’uomo appare esausto, piegato su se stesso, al limite delle sue forze, e con lui, l’olezzo già avvertito all’entrata. Lui il custode ? non mi sembra possibile, oppure fa parte di una efficace messa in scena. Dalla prima fotografia in poi è un susseguirsi di orrori, di sofferenze, di urla, di fughe, di corpi massacrati, bruciati, abbandonati nel fango, mischiati fra di loro in fosse comuni, umiliati e arresi, disperati, irriconoscibili. Le didascalie sotto le immagini rinforzano lo sgomento del visitatore raccontando i dettagli, le date, i luoghi, non risparmiando nulla, e soprattutto il coraggio di quegli uomini e quelle donne che hanno fatto sì che quegli orrori arrivassero a noi. I fotografi.
Antonella già piange, io sono disturbato da un opprimente vuoto allo stomaco, cerco una parete, un angolo al quale appoggiarmi a mano a mano che vado avanti. Accanto ad ognuna delle immagini esposte i dolore è tangibile, ci sono anche visitatori seduti in terra, gli uni addosso agli altri, quasi che siano la riproduzione vivente delle fotografie. Anche Antonella ne rimane colpita asciugandosi il naso.
    _    Guarda, ma li hanno messi apposta, magari sono degli attori, la vedi la somiglianza? Quella donna, con la bambina in braccio, sporca di sangue…è seduta in terra, sotto la fotografia di se stessa…guarda, sono uguali !! _
Ha ragione, sembrano un copia vivente, non si curano di noi che ci fermiamo davanti a guardare. Anche i visitatori, i loro vestiti sono vecchi, qualcuno zoppica, un giovane alto copre con le mani qualcosa che vuole uscire dalla pancia. Non posso crederci.
    _    Sono budella? Le sue budella ? _
Antonella non mi risponde, ha lo sguardo imprigionato dalla immagine alla mia destra, tre bambini aggrappati ad un filo spinato con occhi sgomenti e perduti, sotto la minaccia di un fucile che sicuramente aprirà il fuoco. Gli stessi bambini della fotografia guardano  e si aggrappano al cappotto di Antonella, che non capisce, che non sa che dire, che singhiozza rumorosamente.
Proseguiamo il nostro cammino nella mostra, sempre più esterrefatti. Ci muoviamo scavalcando corpi stesi sul pavimento della seconda sala, sembrano trascinarsi verso una inesistente salvezza, sembrano sul punto di esalare l’ultimo respiro. Io inciampo in una testa recisa di netto. Mi arrabbio allora, protesto, adesso veramente si esagera, bravi ma esagerati codesti attori ! Voglio convincere Antonella ad andare via ma lei è tutta immersa in quell’orrore irraccontabile, un altro improbabile custode con una larga e profonda ferita che gli divide in due la faccia, mi vuole aiutare a tirarla via. Ci riusciamo, la trasciniamo fuori insieme, lo ringrazio anche. Ma io a questo punto devo andare al bagno, correre al bagno devo, sto per vomitare. Dal lavandino e dal water fuori esce sangue, ti pareva ! Un fiume di sangue, riesco di corsa e preferisco vomitarmi addosso, insieme e scompostamente saliamo le scale. In cima inciampiamo  in un groviglio, un miscuglio pietoso e orribile di cadaveri, come la decima fotografia della mostra, teste, braccia, gambe, costole, tutto  in pezzi, un incubo reale, vero, un campo di sterminio. Mentre mi tiro su, togliendo la mia faccia da quello scempio, mi accorgo che tu cerchi di ricomporre e qualcosa ti metti anche nelle tasche del cappotto.
    _    Ma cosa fai, cosa fai, cosa fai?!_
    _    Sono anche un chirurgo io !_
    _    Vuoi portarteli a casa??_
Ti disfi allora di quei brandelli, ma non di tutto e ci affrettiamo verso l’uscita, urtando un grosso corpo meravigliato con un machete infilato nel petto.
Mi giro prima di varcare la porta di vetro e vedo un cartello.
Durante le feste di Natale il museo rimarrà chiuso al pubblico. 

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