venerdì 13 gennaio 2012

Sono venuta a riprenderti

 
 _    Sono venuta fino a qui, mi sono umiliata per venire _
Ha gli occhi di vetro del colore dell’asfalto, si appannano, e adesso si allargano e rubano il colore al tram che sta passando, verde penicillina. La pelle del viso diventa lucida, unta, invecchia nel tempo di un solo respiro, I capelli sono polvere, sono polline, trasparenti da far vedere il profilo del cranio, la sua folta capigliatura rossa non è più.
     _   Devo dirti una cosa importante, la più importante, e ho fretta _
E’ seduta accanto a me che la guardo impaurito, si aggrappa al mio braccio, stringe, trema, è più piccola e più magra di pochi giorni fa, il naso le si mette a colare, le invade il mento e il collo.
    _   Sono venuta a riprenderti, a riportarti a casa, adesso e subito. E ti faccio vedere...Ho letto tanto, e c’ho pensato, conosco altre posizioni, vedrai cosa sono capace di fare adesso, non puoi rifiutarti, adesso la più brava di tutte sarò io _
Mi acchiappa con tutte e due le mani, si alza dalla sedia, mi aggredisce le labbra, le apre a forza come si fa con una scatola di pelati e sprofonda dentro. La sua lingua diventata di legno, impazzita, violenta, insapore. E’ inutile il mio divincolarmi.
Si stacca come se fosse andata via la corrente, sbigottita molla la presa e si risiede. Ride, con i muscoli della faccia ma non con gli occhi.
    _   Ecco ma certo, ma che pazza, ma che cieca! Ce n’è un’altra, un’altra ancora! _
E lo urla, e lo sbraita alla gente che le passa vicino, gente che non guarda e non sente, gente che tira dritto.
Io allora provo a fare uscire da me il respiro diventato di aglio e alcune parole capaci di sovrapporsi alla sua fasulla e pericolosa urlata ilarità. Mi provo a dirle che non posso, che un’altra mano una sera, ed era di sicuro un mercoledì, mi ha preso. Ed ero subito suo, e lo sono da sempre e…non so più cosa dico.
Lei ha le mascelle spalancate come quelle di un serpente, gli occhi schizzati in fuori. Si alza di scatto, mi aggrappo io per trattenerla, un avambraccio quasi si strappa e la segue. Si alza di scatto, si divincola e scaraventa se stessa sulla strada. Le braccia e le gambe già lontani, scomparsi fra la gente, già folli.
Mi giro di fianco insieme allo sconcerto e vedo il suo viso di cera nuovamente seduto accanto a me, un’altra lei, uguale, che sbeffeggiandomi mi apostrofa, mi rimbrotta il pensiero.
    _   Era di mercoledì quando hai infilato l’anello nella mia mano, era alle cascate, e ti puzzavano sia il fiato che le ascelle, e adesso che l’altra se l’è data a gambe, ti alzi e con me vieni via, altrimenti ti prendi una coltellata nel cuore _
Brandisce il coltello che mi sarebbe servito a dividere il toast, me lo saetta davanti, le acchiappo tutti e due i polsi perché non si sa mai, ma lei continua, ridendo a squarcia gola.
    _   Stupida io che non mi accorgevo delle bugie, stupida io che mi fidavo ciecamente. Con me stessa dovevi tradirmi, ma come hai potuto ?_
Confuso dalla medesima identità provo a spiegarle mentre continuo a bloccarle le mani, ch’ è successo per caso, che non era voluto, che quel mercoledì stavo bevendo un tè freddo a questo medesimo bar, è arrivata e m’ha preso la mano, e tutto s’è compiuto in maniera inesorabile, se queste cose accadono è il destino a volerle.
Lascia cadere il coltello, schiuma dalla bocca, gli occhi rubano adesso il colore al cappotto di un passante che trascina frettoloso una gamba atrofizzata.
    _    Stupida io, vado a pagare e scompaio per sempre _
Entra e viene ingoiata dal bar. Ora sento e vedo una voce alla mia sinistra, in piedi, furiosa, gli stessi occhi, i capelli trasparenti e medesimi, la pelle identica a quella della seconda fuggitiva.
    _    Era proprio di mercoledì, quel mercoledì di cui parli che mi accarezzavi il sedere nudo per rassicurarmi e confondermi, così tu mi stavi raccontando sull’eternità del nostro amore e, da allora, soltanto finzioni per otto lunghi e terribili anni, anni di belle promesse andate in putrefazione. Ma sul mio sedere non ci sei mai più voluto tornare. Oggi è di nuovo mercoledì, fammi vedere la mano di cui parli, che la stacco _
Allora mi lancio rovesciando la sedia, scavalco, spintono, sfuggo da me stesso, attraverso, nel farlo un ultima volta mi giro e le vedo tutte e tre che fumano, gesticolano e mi giustiziano. Salgo sul tram affollato, vedo la sua mano, quella bellissima mano fra cappotti e impermeabili, seguo il suo braccio, il seno, poi il collo, la faccia di cera, il naso straboccante di moccio. La sua bocca mi guarda e pronuncia
    _    Sono venuta fino a qui per riprenderti _
Forse, a questo punto, è preferibile magari sentirsi male.

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