venerdì 13 gennaio 2012

L’uomo che distribuisce spaghetti

Il semaforo è quello del lungotevere dei Sassonia, li dove la grande strada incrocia il ponte che scavalca il fiume e porta verso lo stato della Chiesa, il famigerato feudo dei buoni a prescindere. A sinistra il ponte, con gabbiani e corvi che si fronteggiano minacciosi e fanno strage di piccioni, poi a destra del semaforo le mura magre di una basilica che sembra invisibile a tutti. Proprio li sotto, in parata, una fila di cassonetti dell’immondizia ornati di scritte gialle e rosse che inneggiano alla rovina, all’ingiustizia, al pericolo che incombe, alla prossima e imminente miseria.
E’ questo un semaforo fondamentale, una parte della città si ferma con il rosso, si ammassa, fianco contro fianco, metallo contro metallo, ruota contro ruota, e attende nervosa il segnale, il cambio di colore, per riversarsi, precipitarsi, invadere l’altra metà. Una conquista che dura l’intero giorno e l’intera notte, con un rumore incessante che arriva, si placa, riprende, si disperde, ricomincia. Sirene e sirene, frenate, liti, indolenze e paure. Senza contare le sofferenze dell’asfalto eternamente feriti e degli alberi secolari muti e infelici che accompagnano e indicano il cammino incessante, sono pazienti e nemmeno a loro è concesso il riposo. Al di sotto, al fianco della strada, scorre il fiume al contrario del senso di marcia, scivola via bizzarro e scuro, refrattario al buon umore e seguace dei pensieri pesanti. L’aria fetida corre, infetta, corrode, uccide senza che alcuno possa mettere fine.
In questo incrocio ossa, pelle, materia grigia e metallo, vene gonfie e isteriche, bacini e talloni, tacchi a spillo e seni scoperti, navigano verso la vita e verso la morte, non sanno ancora, l’importante è attraversare il semaforo, poi quello che accadrà sarà dopo, un altro passaggio e un altro ancora, uno scandire come quello dell’orologio. Nuvole, sole, pioggia e escrementi degli uccelli migratori ricordano che il tempo, passo dopo passo, rumore dopo rumore, gambe dopo altre gambe, si è già accorciato, e la vecchiaia è li, subito dopo il semaforo che annota, si fa i conti suoi.
Il semaforo cambia di colore, dà un ordine, diventa rosso, la condizione umana si deve fermare immediatamente prima delle strisce pedonali. Egoismi, prepotenze, ricchezze, cattiverie, serenità, onestà, perfidie, povertà, ironie, manie, malattie, in fila e coperti di fianco, perché una moltitudine di piedi e di respiri, di giugulari, comitive di turisti, preti bianchi e preti neri, cani liberi e al guinzaglio, carrozzine, ginocchia, zigomi e fianchi attraversano guidati da grandi strisce bianche che indicano un cammino breve e prestabilito e permettono ad altro ferro ed altre gole di scivolare, di rotolare a loro volta ed infilarsi nella città con un’altra angolazione, a completare un intreccio segreto, casuale ma forse già scritto.
Ma non basta, ad osservare che tutto scorra cosi come prestabilito dalla vita e dall’amministrazione cittadina, ci stanno anche due poliziotti, li ad aiutare il colore a cambiare di colore, armati fino ai denti, dritti in piedi e con nessuna voglia di ridere. Insomma si tratta di un semaforo importante e controllato affinché nessuno possa esagerare, nessuno possa dare di matto, senza scosse ne forti emozioni li si deve passare. Poi dunque si è liberi, fino al prossimo fondamentale semaforo ? Non è cosi, ma cosi deve apparire.
Ed è ora di pranzo e l’andirivieni diventa convulso. All’incrocio, sotto l’occhio luminoso del semaforo, si materializza qualcosa avvolto in una specie di giacca troppo lunga, molto larga ed esageratamente disfatta. La sua casa è lì, a un passo dal semaforo, dietro l’invisibile basilica, è una casa di stracci e di cartoni, accanto un misterioso tesoro chiuso in altrettante grandi buste lerce. Adesso, ad ora di pranzo, il piccolo uomo ha portato con se uno dei suoi misteriosi tesori estratto dai cassonetti e conservato gelosamente. Estrae dalla grande busta una manciata di fetidi e appiccicosi spaghetti e li offre, sorridente e fiducioso alle macchine che si fermano ubbidienti al semaforo. Scopre i pochi denti marci che ancora gli rimangono.
    _   Prendete, se avete fame ci sono io, se non avete soldi per mangiare non vi preoccupate, ci sono io _
Si avvicina ad una macchina enorme, lucida, potente, maestosa, un salotto di lusso rotolante. La donna che la guida chiude di corsa il finestrino, si ritrae, vuole confondersi con il sedile, le fa schifo il barbone e non riesce a nasconderlo.
    _    Non devi avere paura, hai dimenticato ieri sera di finire il tuo piatto, ma io sono qui, l’ho raccolto, te lo restituisco, il tuo sugo c’è ancora _
Le porge una grande manciata di autentica schifezza, lei il finestrino non lo vuole riaprire, ed allora il barbone le sparge la pasta accuratamente sul parabrezza e il semaforo verde ancora non viene.
I poliziotti si allarmano, pensano d’intervenire, meditano sul come e sul perché, le mani ancora non sanno se aggrapparsi alle armi. Il piccolo uomo intanto si gira e pesca altra pasta dalla grande busta che si trascina appresso. Affianco a lui aspetta il verde un’automobile tutta ammaccata e sporca, dentro c’è una ragazza che non appare così spaventata e anche lei ha il finestrino aperto.
    _    Tu sei magrolina, ti senti male, che fai non mangi?_
E le schiaffa direttamente in gola una bella manciata di pasta al ragù.
    _    Tranquilla, questa è roba buona, la conosco quella che prima la cucina e poi la butta. Mangiare da ricchi !. A te ci penso io_
Il semaforo ancora non cambia di colore, gli automobilisti si agitano, si barricano dentro i loro metalli, la ragazza con la pasta nella gola rischia di soffocare, è paonazza, rantola, ha gli occhi di fuori, quasi ci sta per rimettere la pelle. Ed ecco i due poliziotti che alla fine si muovono, zizzagano fra le macchine rischiando di scivolare sui resti del cibo marcio rimasto sull’asfalto. Lo inseguono, una abbondante porzione di carciofi li centra in pieno. Vacillano ma eroicamente proseguono.
Ma il piccolo uomo, con il suo carico di schifezze è agile, sguscia via, ritorna verso la Basilica invisibile e così facendo riesce a ficcare o resti di una banana  nell’esofago di un indifeso motociclista che ancora non aveva riempito il suo stomaco. Il barbone dov’è, il barbone è scomparso e il semaforo ancora rimane aggrappato al suo rosso. Il barbone adesso riappare chissà come sul parapetto della chiesa, circondato dai piccioni che intendono partecipare al banchetto. Adesso tira per aria e giù, sulle macchine tutto quello che gli rimane.
    _    Ci sono io che ci penso, oggi mangiate lo stesso, non vi dovete preoccupare, io e Dio siamo qui _
Ride felice mentre i poliziotti, il parroco ed altri volontari tentano invano di raggiungerlo, piccioni e avanzi non sono facili da scavalcare in bilico sul precipizio. Ed ecco che il piccolo uomo vola, preso dall’entusiasmo, con tutto il suo carico quando finalmente arriva il segnale, il semaforo verde. Dal cielo piove generosità.
    _   Eccomi, arrivo, c’ho pure il secondo _


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