venerdì 13 gennaio 2012

Tibbets

Un libro fuori posto, uscito con le sue gambe dalla mia libreria, vecchie fotografie di una tragedia, un nome, una guerra, una faccia ingiallita, occhiali d’aviatore, indecifrabili pensieri nella testa. E sullo sfondo il racconto di un lampo poderoso, poi il fungo, altissimo nel cielo, più alto del cielo stesso, poi un vapore bollente, capace di bruciare uomini, pensieri e cose.
A quest’ora del mattino il mio cane non aspetta un minuto di più, devo scendere, scapicollarmi per le scale, lungo il fiume, insieme alla mia gente c’h’è appena sveglia, che si avvia al lavoro, che cammina e guarda ancora con gli occhi di sonno una grande nuvola minacciosa e scura a forma di fungo che non promette nulla di buono, appare come nel libro ch’è uscito fuori dal suo posto e che adesso giace sul pavimento celeste, in attesa.
Sono le otto e quindici minuti, il cane mi trascina lungo il fiume, infilando il muso e le zampe in una nuvola bagnata di foglie morte, fruga, annusa, tira il guinzaglio a strapparmi le braccia, cerca il posto dove svuotare la sua vescica. Le persone, l’umanità che incrociano la nostra strada, questa mattina sembrano avere le sembianze di zombi, tornati su da chissà quale tragedia, qualcuno barcolla, guarda quella curiosa e inquietante nuvola a forma di fungo, poi guarda me e il mio cane come per dirmi “ Non è il vostro posto, andate via in fretta, tornate a casa”.
Che strana mattina ch’è questa. Poi ecco arrivare il solito matto solitario, tutte le mattine lo incontro, il mio cane gli ringhia addosso, come al solito. E’ vestito di stracci, vecchi pantaloni militari e una giacca mimetica sicuramente appartenuta ad un morto. Mi si para davanti, borbotta qualcosa con un accento straniero.
    _    Hai visto la nuvola, l’hai vista? Tibbets mi chiamo, lo sapevi? Il mostro aviatore. Sei morto anche tu oppure con il mio incubo non c’entri niente ? La nuvola la vedi? Tutta la colpa è di questa giacca militare, lo vedi c’è il mio nome. L’ trovata, avevo freddo e l’ho messa_
Lo stessa faccia del libro che adesso giace sul mio pavimento! Mi sono svegliato male, questo è sicuro. Il cane tira, vuole tornarsene a casa, l’acqua del fiume ribolle e si scurisce, il fungo è lì e non intende muoversi. E lui, con quella faccia di morto vivente mi vuole raccontare per forza.
Tibbets è un pilota degli aerei dell’esercito delle cavallette, una specie rara di spavaldo eroe. Quelle cavallette che hanno appena scoperto e salvato amorevolmente i prigionieri torturati e gassati senza nessuna pietà nei campi di sterminio degli adoratori della croce uncinata. Si sono fatti fotografare come angeli liberatori accanto ai superstiti confusi con i cadaveri, i mucchi di occhiali e di denti, ed hanno sorriso commossi. Commovente eroismo che non si dovrà mai più ripetere. Le cavallette, bravi ragazzi di sicuro che recitano il loro canto di guerra in inglese.
Avrebbe dovuto fare il medico Tibbets, ma poi, purtroppo per molti, sceglie di cavalcare il cielo. Lui, fra tutti, il prediletto,  ha l’incarico, probabilmente per meriti psichiatrici, di trasportare e lanciare nel vuoto orientale e giallo Little boy, una supposta pesante e disastrosa a bordo di un uccello di metallo che Tibbets osa battezzare con il nome di sua madre, Enola, Enola Gay. Uno scherzo da teppisti bambini.
Alle due e quarantacinque antimeridiane del 6 agosto lui, con quella madre di ferro attrezzata con due grandi ali, dipinta con l’odio mortale per quelli che non vorrebbero essere chiamati “musi gialli”, decolla e si avvia con un cipiglio mortale. Con lui un equipaggio di coraggiosi, tutti muniti di pasticche al veleno, nel caso in cui fossero stati catturati da mani poco propense all’amicizia.
Sono le otto, quindici primi, diciassette secondi, le condizioni atmosferiche condannano inesorabilmente l’incolpevole città di Hiroshima, che ora si sta svegliando, con l’odore forte del caffè e la faccia ancora appiccicata di sonno, qualcuno ha appena aperto il giornale, altri appena svegli non si ricordano nemmeno la guerra. Altri non si vogliono alzare perché accanto a loro un corpo, caldo e liscio li ha tenuti per mano l’intera nottata. Anche il nemico un’anima ce l’ha! Anche il nemico l’amore lo sa fare!
Si aprono i portelli di sgancio, cinquantuno secondi e poi…e si mette a contare tutto l’intero equipaggio, Little Boy esplode a seicento metri dal terreno, perché così può e deve fare più danni, perché solo così il fungo assume il suo aspetto migliore.
Tibbets dice o non dice, mentre impenna il suo aereo in alto, ma qualcuno è pronto a giurarlo.
    _    Cosa abbiamo fatto!?_
S’inorgoglisce e si meraviglia, oppure si pente da subito e si fa schifo da solo ? Poco importa, il suo Presidente è entusiasta.
Il boato, il lampo, il vento infuocato spazza via tutto quello ch’è vivo. Solo le piante resistono.
Un nuovo sole si accende e il suo calore uccide, la materia si dissolve, le cellule di migliaia di esseri umani svaniscono nel nulla, senza sofferenza, così all’improvviso. Il lampo tuono lascia impresse su tutto ciò che riesce a resistergli, le ombre dei dissolti vivi, gli uomini ombra. Quelli che non svaniscono, muoiono in sette soli secondi, muoiono come formiche abbrustolite: si contraggono, scoppiano, s'inceneriscono.
Tibbet si ferma, s’inclina verso il fiume, vomita, lo tengo per le spalle. Il mio cane, rassegnato a non tirare più, lo guarda atterrito. E un’altra voce, più cupa della sua, ma uscita dalla sua stessa gola, riprende a raccontare.
    _    Me l’hanno detto, era impossibile che io…_
Esseri umani, quei musi gialli, con la pancia aperta, cercano di trattenersi le budella con le mani, altri hanno gli occhi che pendono fuori dalle orbite, brandelli di pelle dondolano dai corpi ancora vivi, come pezzi di stracci strappati. I vivi non possono fermarsi, traballando si aggiravano senza meta in mezzo a tutto quell’orrore, fino a cadere sfiniti e finalmente morti.
Migliaia di corpi abbrustoliti che hanno cercato scampo nell’acqua, galleggiano senza vita. Molte facce sono arrostite a metà, la metà esposta al lampo. Quello che resta di Hiroscima è avvolto in un mare di fuoco.
    _    Togliti la giacca Tibbets, toglila e buttala via _
Adesso siamo ambedue seduti sul bordo del fiume, vuole piovere.
Infatti grosse e pesanti gocce nere cominciavano a cadere sulla città, un sollievo bizzarro e crudele, gocce radioattive, gocce della morte, dal fungo scendono a finire il lavoro. Tutti i vivi chiedono da bere e strappano l’erba e le radici per sfamarsi. Peggio, è peggio così. La morte arrivava ugualmente, solamente rimandata, di poco.
La guerra è vinta, le cavallette hanno liberato il mondo e scendono a osservare, protette da maschere e tute, prendono nota scientificamente, negando, non sapendo, sdrammatizzando, comprando ricordi da portare a casa. Quelle cavallette che oggi torturano i loro nemici e urinano sui loro cadaveri.
Tibbets ha sempre lo sguardo fisso all’acqua scura e pesante del fiume, la voce gli esce a fatica, è il suono di un moribondo.
    _    L’altro pilota sull’aereo, è impazzito_
Gli sfilo di dosso la giacca, forzo, tiro, lui lascia fare, pesco nella mia tasca un accendino, do fuoco appena in tempo, la morte aspettava alle sue spalle il momento migliore.


Nessun commento: