giovedì 8 novembre 2007

I cadaveri di una giornata


E’ un altro, che sempre fa parte di me. Sbadiglia e sorride, sorride sempre e menomale. Religiosamente cammina nell’universo di scarto, universo molto spaccato, sporco alquanto, infetto, riassunto in angoli scabrosi.
Carezza i cadaveri di una giornata, dondola dolcemente la testa. Sbadiglia e li sfiora con la punta delle dita.
Predilige scheletri d’armadio. Annusa scrupolosamente la carta da macellaio. Saltella, canta il suo amore nelle fognature.
Si sveglia di soprassalto, scosso da un rumore lontano di bottiglie e lattine. Gentilmente compone un pensiero con bucce di banana, un altro con pezzi di bambola. Si raggomitola dentro i resti di una scatola. Beve il fiume, beve la pioggia.
Cosa c’è di più struggente di un gigante arrugginito? Cosa c’è di più pietoso di un giornale lacerato? E una scarpa vecchia non fa forse tenerezza?
Ruggine e plastica addolciscono i suoi sogni. Il labbro superiore più grande, forse un occhio di vetro, forse un braccio più corto. Ma non ci pensa alla bellezza, continua.
Un brandello di giacca abbandonata sotto il ponte, sola, ormai indigesta, non più degna di una marca qualsiasi. Le danza intorno, la porta in processione.
Un’altra faccia, ma sempre la mia.
Cammina nel buio alla ricerca di ruote di bicicletta e vecchie fotografie, vecchie pentole e fantasmi di varie cianfrusaglie. Va a dormire circondato da pezzi delle sue bambole preferite. Le ossa di un vecchio tram lo culla no e lo distraggono dal freddo.
Nel suo sogno le mani accarezzano ancora l’inutile, e ancora un chiodo arrugginito piange fra le sue braccia. Nel suo sogno tanta schiuma di detersivo e i denti spietati di una grande ruspa.
La ruspa della morte nera arriva su di lui e lo schiaccia.
Ma la sua testa mozza ancora sbadiglia, ancora una lacrima dal suo occhio vuoto. Dalla sua mano staccata ancora un allegro saluto.
La coda del ramarro rinasce, anche lui raccoglie i suoi pezzi, se li rimette, storti, ma un’altra volta vivi.

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