martedì 27 novembre 2007

Il ponte romano




Abito fuori città, non ricordo di aver preso la macchina e aver guidato per 40 chilometri fino ad arrivare in pieno centro storico. Non ricordo come sono arrivato sul ponte Garibaldi, il più bello e il più antico. Ricordo solo una grassa risata cattiva e poi il ponte.
Il ponte romano, stretto, adatto solamente al passaggio dei pedoni, in continuo restauro, sempre attrezzato di assi di legno, tubi e putrelle. Un ponte che la città vuole assolutamente preservare. Sotto, il fiume scorre marrone e nauseabondo, pericoloso, infetto, dall’animo infido. In alto, il ponte è lastricato con pietre lucide e scivolose per il tanto passare dei pensieri e delle scarpe, per la sua storia che avanza lentamente ma non si concede pause. Lì non si passa solamente , lì ci si sta, è anche la casa degli ambulanti, di certi derelitti che parlano al fiume, di qualche pittore, di ladri che scrutano i passanti. Di certi intellettuali che la città la percorrono solo rigorosamente a piedi. Qualche frettoloso, ma raro e fuori posto. Poi le signore con le borse che costano care, che guardano dritte e tese in avanti, senza dare confidenza a nessuno. E infine gli uccelli che svolazzano in gruppo, guardano, ti deridono e ti cacano addosso.
La risata mi è ancora dentro e si ripete da zigomo a zigomo, da orecchio a orecchio, cavalca il naso, costruisce uno sguardo perplesso imbecille. Sono sul ponte, all’inizio, appoggiato alla pietra del cornicione, mi guardo i piedi, tiro fuori una mano dalla tasca come fosse un ingombro. Le dita sono ben strette al un telefono cellulare. E’ acceso, squilla, non rispondo subito, mi pesa il braccio, gli occhi mi vanno addosso ad un barbone che è lì, seduto in terra, a solo un metro da me. Anche lui mi osserva. Squilla il telefono ancora
- Pronto,T’ho chiamato? Davvero? -
- Mi ricordo che ridevi e ridevi. Che ho detto? Ho detto che me ne vado per sempre-
- A certo, grazie infinite, adesso mi ricordo, eccome no, una mia continua pretesa -
Il ponte Garibaldi, la memoria che torna, e il compatimento del barbone e la sua testa, enorme.
- Ti devo implorare ti devo, e poi ti metti lì rigida e aspetti, e male lo sopporti perché ti vedo che ti viene da vomitare. Certo che sì, vomitare –
- Urlo? Non urlo, te lo dico, rifletto, si che te lo rinfaccio –
- Un sospiro, di più non ti sprechi, un gemito e basta -
Un tremore mi prende, una rabbia, una specie di… Il barbone mi dice qualcosa, fa segno di avvicinarmi, prende la sua bottiglia di birra e me la vuole dare,
- Non abbassare, aspetta, dimmi che non ti piace, dimmi perché. Guarda che se non parli mi ci butto davvero. Come dove? Nel fiume, qui sotto –
Mi sorprendo a dire una cosa del genere, il barbone si allarma, è infastidito dal mio minacciare crescente, è quasi sicuro anche lui che mi ci butto davvero, vuole alzarsi, ma pesa.
E ribadisco.
- Lo so fare soltanto in un modo, e allora? Casomai sono tre –
- Sì va bene, solamente appoggiato a sinistra, sì va bene, non parlo e sudo, si va bene-
- La posizione 67 non riesco a rifarla, non c’è verso. E’ dispari, è difficile per la miseria, è impossibile –
- Ti ho conosciuta che manca poco mi mangiavi un orecchio. Come sporco? Ma quando mai? Può capitare no? –
- No, di mutande bucate ce n’ho un paio solo, ci sono affezionato, ecco perché non le butto. Vogliamo allora parlare di te? -
- Va bene , tagliamo corto,io mi butto e più non se ne parla ne di te ne di me–
Tutto il ponte mi guarda, si aspetta la tragedia o ride, oppure mi compiange. Lei mette giù il telefono, un piccione fra i piedi mi vuole far perdere l’equilibrio, mi piego sul cornicione. Quelli mi osservano, è un bel pezzo di teatro davvero
Il barbone vuol dire la sua
- Di un po’, ma sei fuori di testa? Ti vuoi buttare? E buttati. Viziato e ricco –
- Pronto, pronto ma che , ci sei o no, pronto –
- Ma guarda me, ma falla finita, e io che dovrei dire, mi dovrei essere ammazzato da un pezzo. Ho un letto di cartone, le pulci, lo scorbuto, la sfiga, le ragnatele in testa. Ma c’hai tutto c’hai, anche il cellulare e che altro, una bella macchina? La casa al mare, una schifezza di lavoro qualunque, una domestica? –
Il piccione non mi da tregua, adesso mi svolazza sulla testa, il barbone mi morde, il cellulare suona.
- Pronto, tu il telefono in faccia non me lo devi sbattere che io mi sto per ammazzare. Cosa? Lo studio legale? Ma che, adesso non ho tempo adesso, ma che avvocato, ma quale? Hai sbagliato numero, fetente –
Il cellulare mi sfugge, schizza via dalla mano, lo riacchiappo proprio sotto la suola di una scarpa.. Mi è appare davanti un qualcuno come nei film dell’orrore.
Rifaccio il numero,e così mi viene da dire di slancio
- Io adesso mi voglio ammazzare -
Quest’altro è troppo esile, mi prende per un braccio, ha un occhio aperto e l’altro chiuso, barcolla, da dentro di lui esce una voce.
-. Se vuoi ti do una spinta, ti dico che meglio così, che questo mondo è una schifezza vera. Ma tu , prima di volare di sotto, qualche spiccio? Per la mia benzina hai capito?–
E il barbone mi fissa ingolosito le scarpe, vuole assicurarsi le mie.
E anche se i motori della città tutta intera e le voci continuano a disturbare la mia autentica disperazione, tengo il mio cellulare ben saldo.
Il piccione sta prendendo la mira. Mi sposto nello spazio vitale di un musicista ch’è lì che si attrezza a suonare
Ruggisco.
- Non mettere giù che ancora c’ho da dire, voglio sapere di mio figlio, figlio di chi è mi devi dire-
Ho le vene di fuori e mi esce uno sputo, il musicista è paziente ma ho la sua coda dell’occhio incollata
- In questo posto qua io mi guadagno da vivere, se urli suonare non posso, vai un po’ più in la a soffrire –
- Visionario? Pazzoide? Mentecatto? -
- Ora basta, ora lo faccio, ora mi butto giù –
E la tromba del musicista si mette a farmi da colonna sonora
- E’ una tromba, non sono a un concerto. Mi sto per uccidere , non è un’interferenza–
Mi sposto, il cellulare ribolle e anch’io. E una specie di pipistrello mi si para davanti, m’impedisce l’accesso al cornicione. Il fiume continua ad aspettarmi. Il pipistrello è basso di statura, di carnagione è troppo bianco ed ha il cappotto grigio abbottonato fino in cima. I suoi capelli sono radi e pochi e gli occhiali due televisori passati di moda.
- Dammi quel telefono fratello, ci parlo io, magari è meglio, può darsi che risolvo –
Il segno della croce, e una lotta comincia per la conquista del mio cellulare.
- Vivere è sacro, pregare è un obbligo. Fatti aiutare. Cantiamo un salmo, diamoci da fare. Fammi parlare e vedrai. Dio ti osserva. Glielo dico al telefono e la facciamo finita. Dì, sai servire la messa? –
Un calcio negli stinchi e la lotta finisce. Sul ponte rimbalza l’eco dei suoi anatemi. Intanto nella colluttazione se n’è andata la comunicazione. Il cellulare ricomincia a ballare.
- Pronto, io non sono Andreina –
- Pronto, il dottore chi? Ma che cosa vi è preso, ma che cosa vi ho fatto? E come se è sbagliato –
Casco a sedere per terra con vicino il solito piccione che non si contenta di avermi cacato sulla testa. Rifaccio il numero e lo rifaccio ancora
- Pronto ?–
Ha riattaccato. Piango, urlo o bestemmio?. Il barbone sta raccogliendo le scommesse, il tossico rilancia, il musicista ha accettato.
- Sto per cascare guarda ! –
Il musicista smette di suonare e mi punta furiosamente un dito sulla faccia
- Palle non se ne dicono –
- Per esempio potresti venire a soccorrermi. Come un appuntamento? Come c’hai altro da fare? Come non ti importa e basta? –
La batteria del telefonista sta per finire, a pochi metri da me improvvisamente mi sembra di vederti, ma com’è che sei qui ?. La folla dice che a questo punto mi devo tuffare, se no che figura ci faccio.

2 commenti:

www.photo-effe.com ha detto...

le composizioni foto - pittoriche sono molto belle, comolimenti.
quando avrò un attimo mi cimenterò nei tuoi racconti, buona serata

costantino liquori ha detto...

Grazie della tua visita
Costantino