lunedì 5 novembre 2007

Un giorno di umore saltellante


Mi ricordo di averti conosciuta in uno strano giorno. Un giorno di umore saltellante, quando i pensieri arrivano di corsa e tutti insieme, e se ne vanno squagliandosi, bollendo e stingendo in un tempo troppo breve.
Ti ho conosciuta in un giorno di viaggio. Il mio sguardo confusamente ti agganciò, ti oltrepassò barcollante e impastato, ma poi tornò indietro per istinto. Ti acchiappò male, mi chiamò in soccorso.
Quel giorno non mi dovevo certo meravigliare di vedere due piedi in uno solo. Ma vederlo protetto in un involucro di gelatina mi sembrò troppo, mi spinse a guardare in su. Mi avvisò che quel giorno era proprio lui.
I tuoi occhi partivano da lontano in coppie ordinate, tutte alla stessa velocità si avvicinavano ingrandendosi e dissolvendo. In file interminabili imboccavano un’ampia curva e si dissolvevano. Occhi patchwork in flusso di fuga.
Cercavo d’immaginare di quale materiale fossero fabbricati i tuoi capelli, dove finivano. Quanti?
Erano i capelli a non permettermi di distinguere chiaramente il tuo viso? Oppure era il tuo stesso viso a rendersi indistinguibile per permetterti di camminare tranquilla?
Il vento voleva regalarmi la tua gonna, poi me la voleva togliere, poi ancora. Con la collaborazione di un’automobile impazzita, ti scaraventava tutta intera e tutta quanta, addosso a me.
Le mie braccia e la tua giacca saldate insieme, e la sensazione speciale di un’unica e grande autostrada del sangue.
Fu così che persi di vista la tua testa, probabilmente si era sostituita alla mia. Perché i miei capelli non erano mai stati di quel colore. Perché il rosso di solito non uso indossarlo. Perché giuro di non aver mai portato, nemmeno per scherzo, tacchi più alti di una certa misura.
Ricordo allora che fra me e te ci fu un sapore di colla. Ricordo che qualcosa di noi cercava di segnalare alle automobili la nostra posizione infelice.
Mica me lo urlavi l’imbarazzo, stavi in me con una sola testa in comune, e pareva ti divertisse. Parlavi con la mia voce ed io invece…invece io mi preoccupavo dei nostri gruppi sanguigni, il rigetto, la brusca marcia indietro.
I pensieri, in un giorno così, arrivavano in eccesso, cuciti insieme, ed anche non miei. Riflettendoci bene le gite nel Sahara non le avevo mai fatte, preoccupazioni per il seno non ne avevo mai avute. Mariti nemmeno, semmai mogli.
E la struggente passione per l’angostura? E l’ostinata fissazione per il bianco splendente ed un’unica e costosissima marca di ammorbidente? Rotolando amalgamato assieme a pezzi nient’affatto morbidi di te, mi ritrovai a percorrere incurante la strada di casa. Consapevole di possedere oramai due ginocchia da donna, un sedere paradossale, una bocca troppo sporgente e una voce da orco.
Io non mi ero mai sognato di comprarmi dei bracciali, e le anche parlavano indubbiamente una lingua diversa. Spigolose e leggere, dispettose e pesanti, larghe e strette.
Il mostro imboccò in fretta il portone di casa.
Salivamo le scale in un involucro di gomma pane e il cuore, solamente mio per metà, sentiva il bisogno di uno specifico odore, un profumo femminile che si può acquistare solamente a Parigi.
Nel salotto il mostro sperava di poter dare una spiegazione. Nel salotto la risultante delle nostre arterie trovava rifugio nel divano complice.
Mia moglie entrò e trovò ad aspettarla solamente il divano, dello stesso colore di sempre, pulito più del solito suo. Entrò mia moglie e non si accorse dell’insolito respiro dei cuscini.
Ora vorrei chiedere a chiunque sia in grado di darmelo, un consiglio e un aiuto. Per sfilare il confuso personaggio da sotto i glutei della mia consorte e i suoi ospiti pesanti e inopportuni, impegnati in una veglia ininterrotta.
Hanno capito, hanno capito tutto. Qualcuno mi aiuti.

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