giovedì 1 novembre 2007

La mia patata esclusiva


Ho trovato la patata abnorme, senza dubbio fuori misura. La più grossa, la più inquietante, la più dura, la più sgradevole di tutte.
Sicuramente l’ho introdotta in casa spavaldamente, orgoglioso a dir poco.
- Questa è la mia patata esclusiva –
In lei è racchiuso il mio impegno, il messaggio e l’evidente diversità prepotente. L’originalità dei miei desideri.
La mia patata grandiosa e determinante immersa per un quarto in un barattolo di vetro, sta senz’altro a significare.
Patata io ti dono l’acqua, ti regalo l’emozione e la devozione. Faccio a te un giuramento.
Sono fiero del mio interesse esagerato, venuto su per esclusione dal disinteresse. Ne sono addirittura ghiotto.
Se marcisci tu sono distrutto io, se tu rinunci io ricadrò nel perenne. Ti scongiuro, tu sei l’ultima forma degna della più grande attenzione. Giorno e notte veglierò la tua buccia, fantasticherò sulle belle ed oscure tue ragioni. Sarà un continuo girarti intorno col fiato sospeso. Sarà un continuo domandarmi se posso esserti degno.
Anche oggi potrebbe succedere qualcosa, cullerò insieme a te questa idea, proverò a credere che siamo i soli in grado di elaborarla.
Uno strattone, un’energia che ti spinge da dentro. Finalmente il germoglio? Così presto e di slancio addirittura? No.
Cedo avvinghiato a te, che se occorre mi sveglierai, non mi tradirai di certo.
Il sonno mi suggerisce immense e complicate ramificazioni, cambiamenti repentini di rotta, meravigliosi progetti di venature. Tentacoli che spingono, che scostano, che si divorano gli infissi e vanno a sgranocchiarsi la libreria. Che per me, per amor mio si fanno nido.
Avanti o mio desiderio azzardato, non ti fermare qui. Esagera, spingiti oltre, osa di più, proponiti addirittura con arroganza, fatti giardino. Coraggio, tu non sei una patata qualunque.
Ecco rami su rami, ecco i tronchi. E i fiori, ma quali fiori, ma quanti! Fiori che sbocciano, prepotenti. Aprirò gli occhi con la velocità di una revolverata, ammirerò il groviglio che non ha fatto in tempo a sparire, che ora tanto vale che ci resti.
Noi possiamo. Io e la mia patata sregolata ce l’abbiamo la stoffa.
Dalla terra all’acqua con disinvoltura, come se fosse niente, neanche il più piccolo dolore. Un salto di qualità, anzi la fecondità e l’opulenza. Anzi l’agressività del genio che scorre da me alla patata, dalla patata a me.
Niente di fatto. Nemmeno un avvertimento, la trovata è in stallo, tutto come un momento prima. La patata ancora diligentemente nel vaso, rinchiusa, prigioniera nella sua pelle. Il vaso sul medesimo tavolo, la stanza tranquilla, ancora inconsapevole.
Bene, farò penitenza, pregherò di più, pesterò la mia stessa carne, strizzerò il mio cervello fino a che l’indecente accadrà, fino a che il primo germoglio sputatore farà la sua sorprendente comparsa.
Ah quanto diventa inutile il nutrirsi, il leggersi e il riproporsi di fronte alla mia patata, all’io patata inusitata! Cosa può mai pretendere adesso il televisore precedente mio amore, con la sua periodica crisi nascosta nel meccanismo? Il tappeto lo abbandonerò alla sua storia troppo fissa, piatta e noiosamente decorativa. Il tappeto non merita più. La libreria, anche quella, non è più degna del mio essere eretto e miope davanti al suo legno. Giuro anche a voi, o pareti, che da ora in poi non avrete più il primo posto nelle mie immagini del mattino.
Voi tutti non potete competere col miracolo della patata, rivelazione del mio intimo.
Mi darai la tua ragnatela, aldunque non potrai rifiutarti, così il desiderio diventerà solido e potrà chiamarsi verità rivelata, il nuovo mondo della mia patata.
Nulla di nulla. Il barattolo di vetro, l’acqua dentro il barattolo, la patata sfinge immersa e silenziosa. Il miracolo rimanda ancora, ma guai a diffidare dell’evento, guai a deriderlo. S’incapperebbe nell’ira e nell’implacabile vendetta delle forme.
Tu non credi? Rimarrai vittima degli artigli della tua sedia preferita. Tu non credi? Il soffitto della tua camera da letto ti crollerà in faccia.
Ma che fai? Muoviti bastarda di una patata, ubbidisci, non posso permettermi di farti fallire.
Niente! Ossia la muffa ecco qualcosa urca!
Ma la muffa non può, non ha alcun diritto di essere un avvio.
Non esiste altra patata, sostituire l’io, andarsene. La notte così, con l’idea tutta storta della mia patata stabilmente putrefatta.
Così, con le dita aggrappate ai bordi del vetro, con la testa incassata nelle spalle, gli occhi serrati e il respiro compresso. Così attraverso le ore, nella paralisi del pomeriggio. Così sul terreno minato di una nuova sera. Così nel riprodursi della notte fonda, che partorisce e trucida le speranze a favore di nuove, per poi ucciderle ancora e reinventarle più assurde, più falsamente verosimili.
Svegliati che l’ombra si sta facendo solida. Partorita dalla sgradevole muffa bianca, un’ombra di orango mi osserva pensosa.
Rimango lì, impietrito, con un’idea più spinta della sfrontata primitiva, un’idea che si è rifiutata di considerare la misura delle mie esigenze.
Ed ecco l’originalità paralizzante dell’orango patata, l’ombra abnorme della patata orango, l’attonita e blasfema verità, lo sgomento dell’orango impenetrabilità.

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