domenica 25 novembre 2007

Lunghe detenzioni




Prigioniero di che cosa? Prigioniero a vita di un’unica frase esca, di un cattivo sogno, di un magnifico credo. Di un muro portante e di una finta finestra, di una città labirinto e cimitero. Prigioniero di una sola bugia e di una mano destra. Di una fissazione, di una perfida emozione, sempre la stessa e ripetuta negli anni. Prigioniero di un verbo coniugato senza perdere fiato, di un mito maledetto, di uno spazio sfinito e di un tempo lacerato e morente.
Prigioniero della geometria e dei suoi risvolti psichiatrici, di un ottuso e perpetrato rispetto e di qualche sottile analogia. Prigioniero dell’entropia, di una simbologia, dell’analisi logica.
Ergastolano di una splendente morale corrente, delle spalle al muro, di un angolo cottura e di un letto cigolante a due piazze Di un solo semaforo, di un senso unico e di un famigerato raccordo, di soli cento passi, di un urlo solamente pensato, Di un solitario cancello, della distanza che c’è, di un ben arredato seminterrato, del ripetere cadenzato e di un rumore solo apparentemente molesto, di un camminare continuato, ostinato, scomposto.
Prigioniero di codesto amore e di un perché torturato e dei suoi gesti da camaleonte. Prigioniero ancora fra il colore e la mente,chiuso dentro una fronte, chiuso a vita dentro una sfumatura, un mezzo sorriso,un sospettoso silenzio, un tic nervoso, un solo naso e due soli gomiti, un solo racconto, due gambe, un tramezzo che prima non c’era, un colpo di tosse, un solo centimetro di pelle nuda, un sudore.
Prigioniero di un guasto, dei pezzi di ricambio, di un volontario dolore, dell’effetto nefasto di un pezzo di carta, di un quaderno perduto, di un avverbio e di un’esclamazione.
Prigioniero per sempre di un numero avverso, del telegiornale delle otto di sera. Del segnale e la notizia dentro la notizia, Prigioniero del necessario obbligatorio, dei conti che tornano. Prigioniero di quel piccolo rettangolo blu, dell’unica finestra sul cortile, dei racconti di mare, di una nave che riposa sul fondo, di un vecchio cannone arrugginito. Prigioniero a vita di quel tramonto messo lì a bella posta. Di una pietra e di un legno, di un sacrilego me stesso, di quel vento che prima non c’era.
Prigioniero per gioco, per finta, per piangere un poco.

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