giovedì 1 novembre 2007

Con ostinazione le ore otto


Erano le otto precise. Tornò, andò di là, posò questo posò quello. Si sedette. Sbattè la testa contro lo specchio solito. Ribaltò gli occhi e si mise a tremare come una foglia. Peggio di una foglia. Dalla bocca le uscì la bava. Cominciò a mugolare, comincio ad annodarsi, comincio a irrigidirsi.
Il suono di un gong inaspettato.
- Ciao come va? Una giornata faticosa? Sei solo mio e continui ad esserlo? Mi spoglio, dipende da che ore sono? –
Erano le stesse otto dell’inizio.
Io ero lì, davanti al vino, al suo cospetto. Ero lì che mi dicevo, mi continuavo a dire e tormentavo me stesso dicendomi. Mi sudavo e mi dondolavo, avevo tutte le intenzioni di compiangermi rispolverando e rovistando in dietro.Io con i canini scoperti.
Un forte gong.
- Mi adori? –
- Ti adoro? –
- Mi desideri proprio tanto proprio? –
Dovevo affermare e tagliare più corto.
- Ti desidero veramente proprio –
Continuavano ad essere le otto.
Lei mi tirò una sedia, mi centrò col portacenere di cristallo, mi lanciò una forchetta e un cucchiaio insieme. Una pentola, il telefono, una bottiglia. Io schivai ma con scoramento grande e diffuso. Io ammetto che un sonoro schiaffone glielo diedi.
Un grasso gong.
- Come mi vuoi bene? Ti decidi a dirmelo? –
Io preso alla sprovvista, io così su due piedi.
- Mi decido e velocemente te lo dico –
Con ostinazione le ore otto.
Lei nell’angolo più scuro della casa, sotto i vestiti. Lei voleva cercare rifugio addirittura sotto il pavimento.
Io barcollai, io caddi, io mi collassai, io mi ripresi e mi rituffai. La cercai, io volevo trucidarla.
Un gong fragoroso.
- Ti voglio per sempre? –
- Mi vuoi per sempre? Se lo dici tu ci credo? –
Non mi andava seriamente di smentirla.
- Me la fai la pizzaiola? –
- Te la faccio la pizzaiola? Aspetta un istante e vedrai –
Le otto come sempre.
Io fui addosso al cane, io fui addosso a lei. Il cane tentò di rifugiarsi, io cercai francamente di uccidere, lei tentò francamente di nascondersi.
Cambio. Io mi rifugiai, lei a rotta di collo su di me, lei tentò di accopparmi, i suoi lanci ricominciarono. Io col mio vistoso ululato pietoso.
Un gong baritonale.
- O toccami almeno una volta?! –
- O allora ti tocco anche due?! –
- O guardami sotto la cintura ?! –
- O ebbene ti ammiro al disotto –
Le monotone otto, l’orologio ibernato.
Sgusciai via e cercai precipitosamente degli ortaggi, ritornai sui miei passi e li lanciai. Li scaraventai su di lei in segno di estrema sfida definitiva e categorica, una volta per tutte.
Un gong terremoto, la parola a lei nuovamente.
- Riusciamo e rientriamo per salutarci di nuovo? Per gioire un’ennesima volta? –
- Facciamolo pure, salutiamoci pure, gioiamo pure –
Le otto di un giorno che continuava ad insistere.
E lei tirò giù il primo quadro e lo pestò e lo pestò. E lei tirò giù il secondo quadro e lo sventrò e lo sventrò. E lei tirò giù il terzo quadro e lo tagliò e lo tagliò.
Cambio. Le gettai addosso il vaso, quello più grande. Lo ripresi di rimbalzo e ci riprovai. Fu così che scivolò, fu così che mi permise di andare col pensiero all’attizzatoio.
Un gong grugnito.
- Un gelato caro? Oppure un semifreddo? O mio tesoro indeciso? Che ti amo ne sei sul serio cosciente? –
- Ma sì, ma certamente, ma grazie di cuore –
Le otto, il tempo pietrificato.
Lei stava architettando di appiccare il fuoco alla casa con noi complessivi dentro, come gesto di rivalsa.
Cambio. E gettai me stesso in un inquieto torpore.
Cambio. E lei sparò a bruciapelo un aneddoto. Cambio. Io mi svegliai e gliene sparai quattro. Cambio. Lei, crudelmente, ne mitragliò dieci.
Un arrogante gong.
- Tesoro ci vogliamo? Un bacio? Mille? –
- Pure un bacio, anzi mille? Va bene, molto bene, molto molto bene! –
- Ma non mi hai detto che ore sono, me lo dici oppure no? –
Le otto, l’inizio fermo da dove era cominciato.
Io con l’orologio in mano, io glielo agitai davanti.
Cambio cambio cambio. La stessa cosa tentò furiosamente di fare lei. Il suono assordante di cento e più gong. Un contraddittorio senza fine.

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