giovedì 1 novembre 2007

Il colore viola


Una sorpresa sul tavolino, quello più basso del salotto, una brutta sorpresa del mattino. La rimanenza delle lista di nozze? Un abbaglio, uno sbaglio.
Il paralume viola, un deplorevole errore comunque, al centro del salotto e nella casa di chi si crede un autentico artista, fragile e nevrotico. Il colore viola è dichiaratamente una iattura sacrosanta. All’ottimismo un’offesa. Un purissimo affronto.
Mia moglie dorme ancora e disturbarla non la si può, lei che in me assolutamente non crede.
Il lume, insieme al suo paralume deprecabile, esige un deciso atto ostile, l’immediata risoluzione, la distruzione senza tanto pensarci su.
Ma se è stata mia moglie a collocare nel salotto la iattura? Uno stimolo scioccante, un’allusione brutale al mio vuoto presunto. Uno sfottermi doloroso. Una spinta a far riemergere ruggendo il puro artista.
Il mio occhio risentito gira e si ferma sull’estremamente esagerato ritratto suo, mastodontico, sacrale, esagerato, deludente già nel concepimento. E’ in bianco e nero, ma in questa particolare mattina sembra avere un colore addosso. Viola? Non è plausibile, neanche a delirare.
Lei sta ancora dormendo, devo attendere e non posso ancora chiedere. Intanto uno spostamento è urgente.
Afferro il lume e lo sollevo, il lercio colore consistente e pesante. L’angoliera perché? Lo respinge, urla di orrore, è antica, è così nobile, è lei che regna sull’angolo suo. E poi mia moglie dell’angoliera è complice e sorella, sicuramente disapprova.
E allora lì per terra, dietro il cactus. Ma il mio amore per il cactus è grande, ha già tanto sofferto per colpa mia.
Nello sgabuzzino, prigioniero del buio pesto, l’assoluto nero capace senz’altro di annullare la forza malefica di qualsivoglia colore. Lo guardo e ne ho l’intenzione, ci penso più forte e sto fermo.
E’ il potere ipnotico, è la così alta concentrazione di molecole malintenzionate. Va bene, ha vinto e sul tavolino basso ci resterà. Sto per andare in giardino a vomitare. Sto per svegliare mia moglie e accusarla. Mi accorgo, mi sembra di vedere, sono in balia sicuramente.
Il viola gocciola giù dal paralume. Ma a quest’ora mi capita anche di vedere San Gennaro che balla il tango. La sveglio e no e allora.
Ho bisogno del verde del giardino. E quindi ritorno in salotto, prendo e deciso sbatto via il viola. Più esattamente getto nell’immondizia il “violetto di Parma”, così minuziosamente si chiama. Sono in giardino.
Guardo il cielo e riguardo attraverso la finestra del salotto, d’infilata il tavolino basso mi appare viola.
Il verde rassicurante del prato, poi bruscamente ancora nel salotto, sperando vivamente nell’interruzione della iellata visione. Mi affaccio più prepotentemente, il viola c’è, si vede ch’è colato, s’è evidentemente allargato. Allaga.
Scopa e secchio, straccio e acqua e mi precipito dentro incredulo, sforzandomi di non urlare altrimenti lei si sveglia.
Ma l’acqua da una mano al viola e d’altronde il viola è contento dell’acqua. Corre sul pavimento e s’impasta, e aumenta l’infezione lambendo il divano e arrampicandosi su, su anche per la parete d’angolo. Mi lascio così andare. Impreco, rabbrividisco, piango, sputo, tiro calci. Io la vado a svegliare.
Lei non intende, è rimasta nella medesima posizione da ieri sera, sicuramente del viola non gliene importa niente. La scuoto, l’avverto, l’allarmo e torno senza niente in mano. Torno e ritrovo.
Il viola da l’assalto alle pareti e agli indifesi soprammobili. Il Budda che ride, il cavallo e il vaso si sono arresi senza provare a combattere. Il violetto di Parma si sta mangiando la gigantografia di lei. Tiro giù e sconquasso. Il suo sonno ha ancora la sfacciataggine di rimanere intero. Il violetto schizza ovunque e peggiora. Nel corridoio e in cucina imbratta, si gonfia ed è vischioso. Inutilmente il barocco tenta la fuga.
L’acido muriatico addosso, il violetto non s’accorge e continua. E mi accorgo che il giardino si agita, gocce del violetto schifoso sul verde dell’erba. Il colore trasuda, zampilla, sembra perfino possedere una voce. Urlo talmente forte e mi precipito da lei che sogna e bofonchia.
Viola i capelli e viola la faccia sua. Le lenzuola e il cuscino anche. Dalla bocca spalancata schiuma abbondante il colore. E’ affogata, è incollata, era mia moglie.
La tocco e mi sporco di più, mi scuoto, mi spoglio e fuori di senno scappo.
Ma nudo e viola sono sorpreso dal primo tuono, il secondo e il terzo sul viale davanti a me. Al cancello mi sbarra la strada il fulmine, e la pioggia cancella in men che non si dica il colore viola.Lei s’è svegliata, ha fatto un brutto sogno e la colazione sul letto non c’è. Non ci sono mai più nemmeno io, che continuo a pulirmi via un’invisibile iattura di dosso

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